Voto consapevole: l’informazione che conta!
Parliamo di elezioni.
Un po’ presto! Direte.
Io invece dico che è già tardi. E che è necessario che ognuno di noi faccia il proprio dovere.
Che il diritto di voto sia anche un dovere è un fatto incontrovertibile: lo insegnano nelle scuole, nell’ora di educazione civica, e lo dice l’art. 48 della nostra Costituzione. Ce lo dicono i giornalisti nei quotidiani, gli intellettuali ospiti in tv, ce lo gridano perfino a casa i nostri figli, che hanno una coscienza politica decisamente più accentuata della nostra.
Ce lo ricordano tutti insomma. E questo perché in Italia, come in Europa, oggi il primo partito è l’astensionismo. E l’astensionismo non è un bene per chi voglia vivere in una società democratica, perché genera un vortice, all’interno del quale il non-voto è la reazione fisiologica alla frammentarietà dei partiti e alla precaria stabilità dei rapporti di forza, che a loro volta devono le ragioni della propria esistenza al deficit democratico generato dalla bassa affluenza alle urne.
Come interrompere, allora, il girotondo di questo cane che si morde la coda?
La risposta, quasi lapalissiana, che ci viene in mente immediatamente è: andando a votare.
Giusto?
Sbagliato.
Sebbene l’atto politico per eccellenza sia il voto, il primo vero atto politico, prodromico al voto stesso, è l’informazione. Tanto che a ben guardare l’atto politico per eccellenza non è tanto il voto in sé, ma il “voto consapevole“.
Ciò significa che la collettività non accetta semplicemente che si voti, ma pretende che alla base di quel voto ci sia una corretta informazione.
Secondo i dati del report “The non-vopter time bomb” condotta dal magazine portoghese Divergente in collaborazione con Edjnet, il maggior picco di astensionismo, durante le passate elezioni europee e nazionali si è stato registrato nei Paesi con il numero superiore di anziani e nelle regioni con bassi redditi, tassi di disoccupazione più elevati e maggiore incidenza di lavoratori agricoli.
Ciò significa che i maggiori astensionisti sono i cittadini di una certa età, in difficoltà economiche.
Quegli stessi anziani che hanno guidato le proteste del ’68, che hanno creduto nel cambiamento veicolato dalla pacifica contestazione, oggi sono delusi, disincantati.
La loro consapevolezza si è ancorata e chiusa nell’esperienza maturata in decenni di vita.
Esperienza che li ha visti attori-protagonisti capaci di far cadere, con la sola forza dell’indignazione, una Repubblica di ladri, per poi ritrovarsi comparse ai margini di una seconda Repubblica in cui la sottrazione di ricchezza ai cittadini è diventata legge.
Così l’ingiustizia ha generato rabbia, la rabbia ha stimolato la lotta, la lotta si è conclusa con una vittoria, che è esplosa in entusiasmo, che si è tuttavia presto spento, quando è stato chiaro a tutti che nella notte dei festeggiamenti, il nemico era uscito dal cavallo di legno e come un virus si era insinuato nelle trame della democrazia, erodendola dal di dentro.
Così il potere ha piegato l’Italia tutta, impartendole l’amara lezione che a volte anche quando si vince, si perde, e questo mina il senso stesso della lotta.
Ma davvero non ci resta che una ciotola di popcorn da sgranocchiare mentre nell’arena i meno peggio si contendono lo scranno?
I grandi strateghi della storia difficilmente si arrendevano. Facevano tesoro di vittorie e sconfitte e imparavano dai nemici.
E noi cosa abbiamo imparato dai nostri Governanti?
Abbiamo manifestato in piazza e abbiamo parlato di valori, mettendoci la faccia, mentre uno squallido governo dietro l’altro, indipendentemente dal colore, si impossessava dei nostri sogni mentre dormivamo, usando la legge.
Quella stessa legge che oggi la nostra costituzione ci consente sempre di cambiare, attraverso il voto.
Perché allora non liberare il nostro cavallo di Troia nel cuore delle istituzioni?
Finché i nostri governanti non riusciranno a mettere in atto ciò che progettano da anni, ne avremo gli strumenti.
Ci ha provato Renzi, con l’azzardo della riforma costituzionale, ed è stato mandato a casa, ci sta provando la Meloni, col premierato, proprio adesso, sotto i nostri occhi, e noi che faremo?
Ci consegneremo mani e piedi alla cosiddetta nuova “democratura” o difenderemo l’eredità dei nostri padri costituenti finché ne avremo i mezzi?
Io dico di usarla questa democrazia, finché ancora esiste, e dico di farlo attraverso il voto consapevole.
Solo così avremo ancora una chance di rimettere a posto le cose.
Allora la giusta domanda da porsi è: come si costruisce un voto consapevole?
Il mio intento è di realizzarlo insieme, raccogliendo informazioni di ogni sorta e soppesandone l’attendibilità.
Reperendole dal passato, dalla memoria storica che stiamo perdendo giorno dopo giorno; rintracciandole nel nostro presente, all’interno dei social, nei programmi politici delle reti neutrali, nelle lamentele dei nostri vicini di casa; chiedendoci infine che futuro vogliamo consegnare ai nostri figli.
A questo proposito invito tutti a guardare il famoso dialogo tra madre e figlia nel film con la Cortellesi “Figli”, in cui la protagonista accusa la generazione della madre di essersi mangiata il futuro delle generazioni successive, e la madre la invita a non alzare troppo la cresta con accuse e richieste perché gli anziani sono numericamente più forti e sono quelli che di fatto influenzano ogni aspetto della società contemporanea, tanto che, se acquisissero la giusta consapevolezza, potrebbero prendere definitivamente il controllo della scena nazionale.
Questo siparietto inizialmente fa sorridere, poi diventa amaro ed infine suscita sconcerto, ma certamente fa riflettere.
Penso che tutto sommato non mi dispiacerebbe, se questa presa di coscienza degli anziani avesse luogo.
Avremmo forse finalmente una società controllata da gentiluomini e da antichi valori.
Quanto sarebbe bello se questi antichi valori si unissero all’entusiasmo e alla speranza delle giovani generazioni.
A ben rifletterci una coalizione di anziani più giovani non è altro che un popolo.
Allora io dico: giovani, adulti, anziani, italiani tutti, svegliamoci! La prima cosa da fare è capire dove siamo collocati nella storia e cosa siamo chiamati ad impedire o a compiere.
Per comprenderlo leggiamo i libri, compriamo il giornale, andiamo al cinema, guardiamo il TG, seguiamo gli influencers di spessore, sediamoci a chiacchierare sul balcone coi nostri nonni, accendiamo un computer coi nostri nipoti!
Io non necessariamente giudico negativamente chi diserta le urne.
È un suo diritto. Rientra nel concetto più ampio di diritto di voto, che si manifesta anche nella libera scelta di non esprimere una preferenza.
Perciò anche il non-voto merita rispetto a mio parere, purché consapevole. Purché prodotto finale di un percorso di riflessione, che non può prescindere da una corretta analisi del rapporto costi-benefici.
Quello che non accetto, invece, è il non porsi le giuste domande. È chiudere gli occhi, tapparsi le orecchie.
Perché un giorno saremo noi quelli dall’altra parte e qualcuno potrebbe chiederci dove eravamo e se abbiamo almeno provato a cambiare le cose!
“Informarsi è il primo atto politico da compiere”
Articolo scritto da:
– La Pensatrice –