Spari nel parco cittadino e nuove norme pro-caccia: le nostre aree verdi si trasformano nel Far West.

Il nuovo anno è cominciato con un fatto agghiacciante che ha acceso ulteriori riflettori su un problema sempre più grave, quello della caccia indiscriminata nelle aree verdi della nostra città.

La mattina del 21 gennaio del 2025, sulle rive del Sangone, in prossimità del Mausoleo della Bella Rosin, si sono uditi forti colpi di fucile: cinghiali in fuga hanno invaso strada Castello di Mirafiori, seguiti da cittadini terrorizzati che cercavano di scappare insieme agli animali.

Una passante, presente nel parco con il suo cane, ha descritto l’episodio come un incubo, aggiungendo che “sembrava di stare nel Far West”.

Quello che avrebbe dovuto essere un intervento mirato per “contenere” la popolazione di cinghiali, si è trasformato in un episodio che ha lasciato basiti i presenti e fatto discutere anche a livello politico.

Secondo quanto riportato, un gruppo di cacciatori autorizzati dalla polizia locale della Città Metropolitana ha abbattuto 15 cinghiali nel parco del Boschetto di Nichelino. L’operazione è stata organizzata su richiesta del Comune.

Tuttavia, il risultato è stato un intervento caotico e pericoloso, che ha scatenato panico tra i presenti, trasformando un luogo di svago e tranquillità in una scena da film horror.

Questo episodio rappresenta l’ennesima dimostrazione di quanto la caccia sia pericolosa, non solo per gli animali, ma anche per le persone.

Le aree verdi, che dovrebbero essere luoghi di pace e rifugio, si trasformano in zone di conflitto, dove la paura e il rischio di incidenti sono diventati una realtà quotidiana.

La caccia: un problema di sicurezza pubblica e di etica

La caccia in Italia è regolata dalla legge n. 157/92 “Norme per la protezione della fauna omeoterma e prelievo venatorio”, ma gli incidenti dimostrano che i controlli sono insufficienti e la normativa (soprattutto dopo le ultime modifiche) troppo permissiva.

Secondo i dati dell’Associazione Vittime della Caccia, ogni anno si registrano decine di episodi tragici, con ferimenti e morti, spesso coinvolgendo cittadini ignari, bambini e gli stessi cacciatori.

La città metropolitana di Torino, con i suoi vasti boschi e aree verdi, è uno dei territori dove il rischio legato alla caccia è particolarmente alto.

Questo problema non è solo una questione di sicurezza, ma di etica: è ancora accettabile, nel 2025, giustificare la violenza contro la fauna selvatica e mettere a rischio vite umane per uno “sport”?

Noi del Partito Animalista Italiano di Torino ribadiamo, in occasione di questo drammatico evento, che episodi come questi non possono essere ignorati.

Non possiamo permettere che i cittadini si trovino in pericolo durante una semplice passeggiata.

La caccia, ormai, rappresenta un problema sistemico che richiede soluzioni urgenti e concrete.”

Nuove norme pro-caccia: una legge di bilancio pericolosa

La Legge di Bilancio 2025, approvata recentemente, ha introdotto modifiche alla normativa sulla caccia che hanno suscitato indignazione e preoccupazione tra associazioni animaliste e cittadini. Tra le novità più controverse:

  • Specie protette nel mirino: un emendamento consente la caccia a specie precedentemente protette. Questo mette a rischio la biodiversità, già gravemente compromessa.

 

  • Limitazioni ai ricorsi legali: i tempi per impugnare i calendari venatori sono stati ridotti a soli 30 giorni, rendendo più difficile per le associazioni ambientaliste intervenire contro decisioni discutibili.

 

  • Caccia anche in situazioni di emergenza ambientale: le nuove norme permettono di continuare la caccia nonostante gravi rischi per la biodiversità, ignorando il principio di precauzione sancito dalla Costituzione.

Secondo noi queste modifiche rappresentano un grave passo indietro.

“Questa legge di bilancio non fa che alimentare una cultura di violenza e sfruttamento, tradendo i principi di rispetto per l’ambiente e la sicurezza pubblica. Proteggere la biodiversità è una priorità costituzionale, ma con queste normative la stiamo ignorando”

Episodi di inefficienza: il caso della rete anti-cinghiali

Un altro esempio di gestione fallimentare è rappresentato dalla rete anti-cinghiali installata lungo il confine tra Piemonte e Liguria. Lunga 260 chilometri e costata 10 milioni di euro, questa infrastruttura avrebbe dovuto contenere la diffusione della peste suina africana.

Tuttavia, si è rivelata un fallimento: i cinghiali continuano a superare la barriera, dimostrando l’inefficacia del progetto.

Di fronte a questo disastro, le autorità hanno deciso di affidarsi alla caccia per ridurre la popolazione di cinghiali, soluzione non sostenibile e che non risolve il problema, anzi rischia di peggiorarlo.

I cacciatori hanno più volte dimostrato la loro inefficacia, oltre che crudeltà e sprezzo delle più basilari norme di sicurezza.

Eppure, altrove, gli esempi virtuosi esistono!

Esempi virtuosi di gestione della fauna: dall’Italia al resto del mondo

Non tutte le regioni italiane e i Paesi europei scelgono di affrontare la gestione della fauna selvatica con metodi distruttivi e violenti.

Esistono esempi virtuosi che dimostrano come sia possibile convivere con gli animali in modo etico e sostenibile, adottando soluzioni basate sulla scienza e sul rispetto per la biodiversità.

In alcune regioni italiane, negli ultimi anni, sono partiti progetti pilota per la gestione dei cinghiali che hanno visto l’introduzione di sistemi di dissuasione non letali, come barriere artificiali monitorate e repellenti naturali, oltre alla promozione di corridoi ecologici che hanno limitato il conflitto tra animali e attività umane.

Questi metodi hanno permesso una riduzione significativa delle incursioni dei cinghiali nei centri abitati senza ricorrere alla caccia indiscriminata.

Altri esempi virtuosi che riguardano anche altre specie, come colombi e volpi, hanno dimostrato che il controllo delle nascite tramite sterilizzazioni selettive, unito a programmi di educazione ambientale, ha portato a un calo naturale della popolazione.

Questi approcci sostenibili, finanziati anche da fondi europei, coinvolgono spesso le scuole, per sensibilizzare i più giovani al valore della biodiversità.

A livello internazionale, la Germania rappresenta uno dei modelli più avanzati di gestione faunistica. Qui, la caccia è regolata da normative estremamente rigide che si basano su piani scientifici.

La protezione delle specie è al centro di queste politiche: ad esempio, i cacciatori devono seguire corsi di formazione obbligatori che includono lezioni sull’ecologia e sulla salvaguardia degli habitat.

Inoltre, vengono promossi incentivi per il ripristino degli ecosistemi, come la riforestazione e la creazione di zone umide, che offrono rifugio e risorse per la fauna selvatica.

Anche i Paesi Bassi adottano un approccio innovativo e rispettoso: qui la caccia è limitata a pochissime specie, e soltanto in casi documentati di emergenza.

La gestione della fauna si basa principalmente su interventi preventivi, come la modifica degli habitat per scoraggiare la presenza di animali in aree sensibili, e sulla somministrazione di vaccini per il controllo delle malattie.

Un esempio straordinario arriva anche dalla Nuova Zelanda, dove la lotta alle specie invasive che minacciano la fauna endemica è stata affrontata attraverso progetti di rewilding.

Questo approccio mira a ripristinare gli ecosistemi originari, riducendo il bisogno di interventi umani diretti.

Il progetto “Predator Free 2050” è un piano nazionale che ha coinvolto comunità locali, scienziati e governi per eradicare specie invasive attraverso metodi non cruenti, dimostrando che la cooperazione può generare risultati straordinari.

Questi esempi ci trasmettono una chiara lezione: la gestione della fauna selvatica non richiede necessariamente violenza e distruzione.

Con un approccio scientifico, collaborativo e basato sul rispetto per gli animali, è possibile affrontare le sfide ambientali in modo etico ed efficace.

Torino e il Piemonte, con la loro lunga tradizione di tutela ambientale e il forte attivismo animalista, potrebbero ispirarsi a questi modelli per ripensare radicalmente le politiche sulla fauna.

La posizione del Partito Animalista Italiano di Torino: No alla Caccia!

Il Partito Animalista Italiano (PAI) di Torino ha da tempo proposto un cambio di paradigma nella gestione della fauna selvatica.

Nei punti 2 e 6 del nostro programma, pubblicato sul blog Elezioni Torino, evidenziamo la necessità di abolire la caccia sul territorio torinese.

Torino, i suoi cittadini e gli animali che popolano i nostri boschi e parchi si meritano soluzioni innovative e sostenibili, che non sia un pericolo per la sicurezza pubblica.

“Torino può diventare un modello nazionale di convivenza etica e sostenibile con la fauna.

Non permettere l’attività venatoria nella nostra città, non è solo un dovere morale, ma una necessità per garantire la sicurezza dei cittadini e proteggere l’ambiente.”

Un appello alla politica e ai cittadini: un futuro senza caccia è possibile!

Torino deve prendere esempio dai modelli virtuosi e adottare politiche che rispettino la vita in tutte le sue forme.

Le istituzioni locali e nazionali hanno il dovere di ascoltare i cittadini: oltre il 70% degli italiani, secondo Eurispes, si oppone alla caccia.

L’episodio degli spari nel parco cittadino e il fallimento della rete anti-cinghiali sono segnali chiari che richiedono un cambio di rotta.

Torino ha l’opportunità di diventare un esempio di progresso etico, adottando politiche che mettono al centro la sicurezza dei cittadini e il rispetto per la fauna selvatica.

Torino ha le potenzialità per guidare un cambiamento culturale e politico che porti a una società più giusta e compassionevole.

Abbandonare la caccia non significa solo proteggere gli animali, ma anche garantire un ambiente sicuro per i cittadini e le future generazioni.

Per approfondire questi temi, invitiamo tutti i lettori a seguire il blog Elezioni Torino.

Ogni azione conta, ogni scelta può fare la differenza.

Un voto consapevole alle prossime elezioni politiche può salvare una vita.

È il momento di agire per un futuro senza caccia.

#VotoConsapevole

#NoCaccia

N.O.E.T.A.A. – Un faro di speranza per animali e ambiente a Torino.

In un mondo sempre più segnato dall’emergenza ambientale e dall’indifferenza verso il benessere degli animali, esistono realtà che brillano come fari di speranza. N.O.E.T.A.A., acronimo di Nucleo Operativo Ecologico Tutela Animali e Ambiente, è una di queste.

L’organizzazione, nata con l’obiettivo di difendere il territorio e garantire il rispetto dei diritti degli animali, rappresenta una voce forte e determinata nel panorama italiano.

La Missione di N.O.E.T.A.A

N.O.E.T.A.A. si distingue per il suo impegno a 360 gradi nella tutela della natura e degli animali. Dalle attività di sensibilizzazione sul rispetto dell’ambiente e del patrimonio faunistico, al contrasto del bracconaggio e delle pratiche di sfruttamento animale, questa organizzazione si dedica con passione a combattere le ingiustizie e a promuovere una convivenza più etica con tutte le forme di vita.

Ma il loro impegno non si ferma qui. N.O.E.T.A.A. svolge anche un’importante attività di formazione, incoraggiando i cittadini a diventare protagonisti attivi del cambiamento, attraverso il volontariato e l’aspirazione a diventare guardie ecozoofile.

Questo ruolo cruciale permette di vigilare sul territorio, contrastare il maltrattamento degli animali e intervenire a difesa dell’ambiente.

Un impegno straordinario a Torino

A Torino, sotto la guida della presidente provinciale di Laura Arlandi, N.O.E.T.A.A. TORINO ha raggiunto traguardi significativi.

Con il loro lavoro, non solo hanno difeso numerosi animali da condizioni di maltrattamento e abbandono, ma hanno anche svolto un ruolo chiave nella protezione del territorio e nella lotta contro il degrado ambientale.

Inoltre, nel territorio torinese, N.O.E.T.A.A. ha un gruppo di volontari che si adopera per la ricerca di animali smarriti con l’aiuto di cani molecolari, droni, visori termici, gabbie trappola e foto trappole.

Grazie al loro impegno, la città e la sua area metropolitana hanno beneficiato di una maggiore sensibilizzazione verso tematiche cruciali come il rispetto per la fauna locale e la sostenibilità ambientale.

Laura e il suo team rappresentano un esempio di dedizione e determinazione, lavorando instancabilmente per garantire che il territorio di Torino rimanga un luogo sicuro e accogliente, sia per gli animali che per le persone.

Un appello ai cittadini e alla politica: sosteniamo chi si impegna per il nostro futuro

Invitiamo tutti i cittadini di Torino sensibili alle tematiche ambientali e animaliste a sostenere N.O.E.T.A.A. e le realtà simili che operano sul nostro territorio.

Il loro lavoro non è solo fondamentale per garantire un futuro migliore a tutti gli esseri viventi, ma è cruciale per proteggere il nostro fragile ecosistema.

Avvicinarsi alle loro attività di volontariato significa fare la differenza, diventando parte attiva di un cambiamento positivo e necessario.

Chi lo desidera, inoltre, ha la possibilità di formarsi come guardia ecozoofila: un ruolo che unisce la passione per la difesa dell’ambiente a un impegno concreto per la tutela degli animali.

Grazie alla Legge 189/2004, le guardie ecozoofile hanno la qualifica di polizia giudiziaria, il che consente loro di agire con maggiore incisività contro i reati perpetrati ai danni degli animali.

Ma non basta il solo impegno dei cittadini. Serve una politica più attenta e un’amministrazione locale capace di riconoscere il valore di queste realtà e di offrire loro un maggiore supporto.

Le organizzazioni come N.O.E.T.A.A., che si dedicano con dedizione alla protezione del territorio, dell’ambiente e degli animali, meritano più attenzione e sostegno da parte delle istituzioni. È necessario incrementare il supporto logistico, migliorare le condizioni operative e garantire un adeguato sostentamento per il lavoro svolto.

Ad esempio, il Partito Animalista di Torino ha già inserito nel proprio programma l’impegno a favore di realtà come N.O.E.T.A.A., includendo azioni concrete come:

  • Sensibilizzazione della cittadinanza a unirsi e sostenere queste associazioni;
  • Miglioramento delle condizioni operative delle guardie ecozoofile e delle organizzazioni che difendono il territorio;
  • Maggiore supporto logistico e fondi dedicati per facilitare e ampliare il loro raggio d’azione.

Come cittadini e comunità, dobbiamo essere protagonisti di questo cambiamento, e come politica, è necessario agire concretamente per potenziare chi ogni giorno si batte per il benessere di tutti e la salvaguardia dell’ambiente.

N.O.E.T.A.A. è la dimostrazione di come passione e impegno possano creare una società più giusta, compassionevole e rispettosa per tutti gli esseri viventi. Con il sostegno di tutti, possiamo rendere Torino un modello di etica e progresso per il resto del paese!

Contatti

Per maggiori informazioni su N.O.E.T.A.A., le loro attività e su come contribuire al loro lavoro straordinario, è possibile contattarli attraverso i seguenti canali:

Email: noetaaprovtorino@gmail.com
Telefono: 0039 – 3514050866
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#NOETAATORINO #DIRITTIANIMALI

Basta Circhi con Animali: il Presidio di AnimaLiberAction al Parco della Pellerina di Torino

Il 23 novembre 2024, Torino ha ospitato un presidio organizzato da AnimaLiberAction, associazione impegnata nella lotta per i diritti animali, davanti al Circo Madagascar – Maya Orfei, allestito presso il Parco della Pellerina.

Questo evento ha visto la partecipazione di numerosi attivisti e cittadini, uniti nel chiedere la fine dello sfruttamento degli animali nei circhi e nel promuovere un cambiamento radicale verso spettacoli etici e senza crudeltà.

AnimaLiberAction, con i suoi referenti torinesi Sonya De Vitis e Antonio Sanguedolce, ha guidato questa protesta pacifica, ma determinata, per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni locali su una problematica che non può più essere ignorata.

Gli Animali nei Circhi: una vita di sofferenza

Quando parliamo di circhi con animali, facciamo riferimento a una realtà crudele e anacronistica. In Italia, ad oggi,  oltre 2000 animali, tra cui tigri, elefanti, cavalli, ippopotami, leoni e cammelli, vengono costretti a vivere in condizioni innaturali, tra sofferenze e vile sfruttamento.

Privati della libertà, sono mantenuti in gabbie anguste e trasportati per migliaia di chilometri, sottoposti a viaggi estenuanti e spesso in condizioni climatiche estreme.

Questi esseri viventi sono addestrati con metodi coercitivi, costretti a compiere esercizi che vanno contro la loro natura, solo per il divertimento di un pubblico sempre più ridotto.

Gli italiani si sono espressi: NO al Circo con Animali

Secondo il Rapporto Italia 2024 di Eurispes, oltre il 78% degli italiani è contrario all’utilizzo di animali nei circhi. Per tutti ormai è una forma di spettacolo ingiusto e arretrato.

La legge che ha raccolto questa nuova consapevolezza popolare, la legge delega n. 106 del 2022, che prevede  “il superamento dell’uso di animali nei circhi e negli spettacoli”, è ancora ferma al palo, inattuata, tra proroghe e indifferenza della classe politica di turno.

 

Ricordiamo, inoltre, che questa forma di ‘intrattenimento’ contrasta con i principi sanciti dall’articolo 9 della Costituzione italiana, che tutela l’ambiente, la biodiversità, gli ecosistemi e gli animali, e con l’articolo 13 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che riconosce gli animali come esseri senzienti e promuove il rispetto del loro benessere in tutte le politiche dell’Unione.

Una crisi etica ed economica

I circhi tradizionali che utilizzano animali si trovano in una crisi profonda, sia etica sia economica. Secondo un rapporto del Censis del 2017, commissionato dalla LAV, il settore dei circhi con animali ha visto un costante declino di pubblico, soprattutto a causa della crescente consapevolezza della crudeltà intrinseca di questi spettacoli.

Il divertimento basato sulla sofferenza non trova più spazio in una società che evolve verso una maggiore empatia e rispetto per tutti gli esseri senzienti.

Come sottolinea Sonya De Vitis di AnimaLiberAction:

Che tristezza vedere famiglie con bimbi al seguito andare a vedere degli esseri viventi ridotti in schiavitù, privati della loro dignità, obbligati a viaggi lunghi ed estenuanti in gabbie ristrette e costretti ad eseguire movimenti innaturali per il nostro misero divertimento. Alle giovani menti bisogna insegnare il rispetto, la compassione, l’empatia verso tutti gli esseri viventi.

Il Presidio: un messaggio forte e chiaro

Il presidio del 23 novembre ha rappresentato un momento cruciale per portare alla luce questa problematica nella nostra città.

I partecipanti si sono riuniti davanti al circo per esprimere il loro dissenso verso l’uso di animali negli spettacoli, portando cartelloni, striscioni e megafoni.

Tra i messaggi più significativi, spiccavano slogan come “Animali liberi” e “Fuori tendone, dentro prigione“, a sottolineare le costrizioni e le sofferenze inflitte agli animali.

 

Antonio Sanguedolce, altro referente di AnimaLiberAction Torino, ha dichiarato:

La nostra protesta, la nostra lotta, è per far capire che un altro circo è possibile. Ci sono altre realtà circensi che hanno superato lo sfruttamento animale nei loro spettacoli. Un circo senza crudeltà è possibile, è doveroso ed è necessario.”

Le dichiarazioni di De Vitis e Sanguedolce evidenziano come sia urgente e necessario un cambiamento nel mondo dello spettacolo circense.

Esempi virtuosi di città che agiscono

Gli attivisti per i diritti animali della città di Torino hanno posto l’attenzione sulle azioni già intraprese da altre città italiane.

Ad esempio, Alessandria ha limitato la presenza di circhi con animali a un solo evento l’anno, preferendo i circhi senza animali. Il comune di Leinì, invece, ha vietato l’affissione di manifesti che ritraggono animali sfruttati, promuovendo una sensibilizzazione diffusa.

Animaliberaction Torino invita l’amministrazione comunale a seguire questi esempi virtuosi, sottolineando che è possibile adottare misure concrete per limitare la presenza di circhi con animali. Tra queste:

  • Imporre il rispetto degli standard minimi di benessere animale sanciti dalle normative CITES 2006.
  • Controlli più rigorosi sulle condizioni di vita degli animali.
  • Monitoraggio delle autorizzazioni per l’uso di animali classificati come “pericolosi”.
  • Promozione attiva di spettacoli circensi etici, senza sfruttamento.

Come ribadisce Sonya De Vitis:

Noi di AnimaLiberAction Torino auspichiamo che la nostra città scelga in futuro spettacoli senza crudeltà, che trasmettano il valore del rispetto degli animali: il nostro divertimento non può essere accompagnato dalla crudeltà verso altri esseri viventi.

Prossimi appuntamenti

La lotta per i diritti animali non si ferma qui. Sabato 30 novembre, in via Roma a Torino, di fronte a Louis Vuitton, gli animalisti torinesi si ritroveranno per partecipare alla protesta nell’ambito della campagna mondiale Fall of Fur, contro l’uso delle pellicce.

Sarà un altro momento di sensibilizzazione per ribadire che il rispetto per gli animali deve essere una priorità etica e culturale.

AnimaLiberAction, a dicembre, partirà inoltre con la campagna Christmas for Animals, con raccolte fondi a favore dei rifugi per animali e delle attività di volontariato.

A Torino, il 14 dicembre, si terrà una cena benefit a favore del Rifugio Miletta, un C.R.A.S. che ospita animali salvati da situazioni di sfruttamento. La locandina dell’evento sarà pubblicata nei prossimi giorni.

Il ruolo delle istituzioni e un appello ai politici

Torino ha l’opportunità di diventare un esempio virtuoso di modernità e progresso etico, dimostrando che il divertimento non deve mai essere accompagnato dalla sofferenza di esseri viventi senzienti.

AnimaLiberAction e gli animalisti torinesi ribadiscono con forza che è necessario adottare politiche concrete per proteggere gli animali e promuovere spettacoli che rispettino la loro dignità.

Gli strumenti normativi ci sono, e le amministrazioni comunali possono utilizzarli per limitare o scoraggiare la presenza di circhi con animali, come dimostrano gli esempi virtuosi di cui abbiamo già parlato.

Come sottolinea Antonio Sanguedolce:

Il nostro divertimento non può essere accompagnato dalla sofferenza di altri esseri viventi. È tempo che Torino diventi un esempio di città moderna e compassionevole, capace di trasmettere il valore del rispetto per tutti gli esseri viventi.

È il momento di dimostrare che è possibile un futuro senza crudeltà, in cui il rispetto per gli animali diventi un valore fondante della nostra comunità.

La tutela degli animali, fissata nella nostra Costituzione, deve trovare attuazione in scelte che favoriscano spettacoli etici e sostenibili.

Questa sfida riguarda tutti: politici, cittadini ed istituzioni. In particolare, i politici locali e nazionali devono raccogliere questo invito e mettere in atto misure concrete e coraggiose che riflettano i valori di rispetto, empatia e giustizia socio – ambientale.

È il momento di agire. Non solo per gli animali, ma anche per il benessere emotivo e psicologico delle future generazioni.

Torino può farcela, può e deve trasformarsi in una città moderna, compassionevole e rispettosa di ogni forma di vita.

#AnimaliLiberi

– Aggiornamenti –

Nuove ombre sul Circo Madagascar – Maya Orfei. Sequestrati i tendoni.

A pochi giorni dal presidio organizzato da AnimaLiberAction al Parco della Pellerina, emergono notizie che gettano ulteriore discredito sul Circo Madagascar – Maya Orfei.

Il circo è coinvolto in gravi accuse di caporalato e sfruttamento del lavoro.

Le forze dell’ordine, intervenute in seguito a segnalazioni, hanno posto sotto sequestro la struttura dopo aver scoperto condizioni di lavoro disumane per i dipendenti.

Tra le violazioni riscontrate, turni estenuanti, alloggi precari e stipendi non pagati. La situazione non fa che rafforzare la necessità di un cambiamento culturale e legislativo che ponga fine a queste realtà che, oltre a sfruttare animali, compromettono anche la dignità delle persone.

Questa notizia aggiunge un ulteriore tassello al quadro di sofferenza e ingiustizia che circonda i circhi con animali. Non solo esseri viventi privati della loro libertà e dignità, ma anche lavoratori ridotti a condizioni inaccettabili.

La connessione tra sfruttamento umano e animale diventa così ancora più evidente!

Un segnale per un cambiamento necessario

Questo episodio dimostra che il problema dei circhi non si limita solo alla questione del benessere animale, ma coinvolge anche diritti fondamentali dei lavoratori.

La protesta di AnimaLiberAction trova ulteriore validità alla luce di quanto emerso.

Torino, una città che si propone come all’avanguardia nella tutela dei diritti, non può tollerare realtà simili.

È il momento di un’azione decisa da parte delle istituzioni per garantire che il nostro territorio non sia complice di ingiustizie verso persone e animali.

Dal lato politico, il Partito Animalista Italiano, già attivo nella battaglia contro i circhi con animali, ribadisce l’urgenza di applicare la legge delega n. 106 del 2022 e di promuovere alternative circensi etiche, rispettose di ogni forma di vita.

L’impegno di AnimaLiberAction e delle realtà animaliste locali dimostra che è possibile immaginare un futuro diverso, fatto di spettacoli che non siano basati su crudeltà e sfruttamento.

Un invito alla riflessone e all’azione

Le recenti scoperte al Circo Madagascar – Maya Orfei devono essere un monito per tutti: cittadini, istituzioni e politici.

È necessario vigilare affinché queste realtà vengano sostituite con alternative etiche e rispettose. Invitiamo tutti a unirsi a questa lotta e a sostenere un futuro privo di crudeltà e sfruttamento!

Continuate a seguirci su Elezioni Torino per ulteriori aggiornamenti e per sostenere iniziative volte a proteggere i diritti di ogni essere vivente.

Petizioni, raccolta firme, iniziative e proposte di legge on line:

Mail di protesta al Comune di Torino – clicca qui

– LAV: Petizione Basta Animali nei Circhi – clicca qui

– PAI (Partito Animalista Italiano): Firma la legge basta animali al circo – clicca qui

 

 

Articolo 9 della Costituzione: un impegno tradito per il benessere animale e l’ambiente!

Nel 2022, l’Italia ha modificato l’Articolo 9 della Costituzione, introducendo la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli animali. Questo cambiamento ha rappresentato un traguardo storico per il Paese, segnando un passo verso una maggiore responsabilità ambientale e un impegno per il benessere animale. Tuttavia, nonostante il significato di questa riforma, molti aspetti di questa tutela rimangono disattesi, in particolare per quanto riguarda gli animali da reddito. Le industrie degli allevamenti intensivi, della caccia e della vivisezione continuano a operare senza che le leggi riflettano appieno la protezione sancita dalla Costituzione.

La trasformazione dell’Articolo 9: una promessa non mantenuta?

La modifica dell’Articolo 9 ha introdotto la tutela degli animali nella Costituzione, ma a livello pratico siamo ancora lontani dall’applicazione di queste protezioni. L’industria zootecnica in Italia rimane ampiamente non regolamentata rispetto agli standard di benessere animale, con allevamenti intensivi che mettono costantemente a rischio la salute e il benessere di milioni di animali.

Secondo la FAO, il settore dell’allevamento è responsabile del 14,5% delle emissioni globali di gas serra, e le condizioni di vita negli allevamenti intensivi rimangono precarie, se non crudeli. I dati confermano che oltre il 70% degli italiani è favorevole a una maggiore protezione degli animali, un dato che evidenzia come la popolazione richieda un’azione concreta.

Nonostante questa crescente consapevolezza, i cambiamenti strutturali tardano ad arrivare. Secondo un sondaggio Eurispes, una larga fetta di italiani si oppone alla caccia (58,6%) e alla vivisezione (68,5%) . Questo dimostra che la percezione del benessere animale va ben oltre i soli animali domestici: sempre più italiani richiedono politiche che riconoscano la sofferenza degli animali da reddito.

Gli italiani e il benessere animale

Come dicevamo, secondo l’articolo di Eurispe sulla sensibilità degli italiani verso il benessere animale, emerge un quadro di consapevolezza crescente. Milioni di italiani ritengono che gli animali dovrebbero godere di diritti maggiori e una percentuale significativa è favorevole a leggi più restrittive contro la vivisezione, gli allevamenti intensivi e la caccia.

Questo cambiamento nella coscienza collettiva è frutto di anni di campagne di sensibilizzazione, supportate da associazioni ambientaliste e animaliste. Tuttavia, la domanda che sorge è: perché, nonostante questa sensibilità crescente, il sistema legislativo non riesce ancora a tenere il passo?

L’Italia è culturalmente legata agli animali domestici, considerati membri della famiglia. Il rapporto tra italiani e animali da compagnia è intimo e profondo, e circa il 44,7% delle famiglie possiede almeno un animale domestico. Tuttavia, questa empatia non si estende agli animali da reddito, spesso ignorati nelle discussioni politiche e sociali. È necessario ripensare la nostra relazione con tutti gli animali, non solo con quelli che accogliamo nelle nostre case, ma anche con quelli che finiscono nei nostri piatti.

Torino: un esempio di sensibilità verso gli animali

Torino è da sempre in prima linea per la tutela degli animali. La nostra città segue una serie di fonti che spaziano dal diritto internazionale alla normativa locale. Nel 2006 ha adottato il REGOLAMENTO PER LA TUTELA ED IL BENESSERE DEGLI ANIMALI IN CITTA’  che ha lo scopo di promuovere il benessere e la tutela degli animali, favorendo e diffondendo i principi di corretta convivenza con la specie umana.

Nel 2024 poi, la Regione Piemonte ha approvato il Testo Unico sul Benessere Animale, una legge d’avanguardia nel panorama nazionale, che tutela gli animali d’affezione e mira a prevenire il randagismo. Sebbene questi siano esempi di legislazione avanzata, è necessario che la città di Torino faccia un ulteriore passo in avanti includendo nel suo approccio anche gli animali da reddito. È giunto il momento di espandere la Carta dei Diritti degli Animali, per includere tutti gli esseri senzienti, senza distinzione tra animali domestici e da reddito.

Per un approfondimento sul Testo Unico sul Benessere Animale del Piemonte, leggi qui il nostro articolo.

L’ipocrisia della distinzione tra animali domestici e da reddito

Un tema sempre più controverso è la disparità di trattamento tra gli animali domestici e quelli da reddito. Sebbene i cani e i gatti godano di amore e protezione, gli animali da reddito continuano a essere trattati come semplici strumenti di produzione. Eppure, la scienza ha dimostrato che anche questi animali sono capaci di provare emozioni complesse come dolore, paura, affetto e gioia . Ignorare la loro sofferenza non solo contraddice lo spirito dell’Articolo 9, ma mette in discussione anche i principi di base della nostra società, che dovrebbe promuovere il rispetto per tutti gli esseri viventi.

Perché gli animali da reddito, come le mucche, i maiali, i polli e i pesci, continuano a essere sfruttati a livelli inaccettabili ed insostenibili?

È tempo di eliminare questa ipocrisia e riconoscere che tutti gli animali, indipendentemente dalla loro funzione nella società, meritano di essere trattati con dignità e rispetto.

Un cambiamento necessario: il piano di riduzione della carne

L’allevamento intensivo rappresenta una delle principali fonti di sofferenza animale e di inquinamento ambientale. Paesi come la Danimarca stanno già implementando piani di riduzione della produzione e consumo di carne, con l’obiettivo di ridurre il loro impatto ambientale e migliorare il benessere animale . Un piano simile potrebbe essere adottato in Italia, dove il consumo di carne rimane elevato nonostante la crescente consapevolezza sugli effetti negativi dell’allevamento intensivo.

Promuovere alternative alimentari a base vegetale non solo ridurrebbe la domanda di carne, ma favorirebbe anche un’economia più sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Per maggiori dettagli sul Piano di Riduzione della Carne Danese, leggi il nostro articolo qui.

Torino: un modello per il cambiamento

Torino ha la possibilità di porsi come esempio virtuoso per l’Italia, promuovendo un piano di riduzione del consumo di carne nelle mense scolastiche e pubbliche, ispirandosi a città come New York che già adottano politiche di alimentazione plant-based.

Le amministrazioni locali potrebbero investire in programmi educativi volti a sensibilizzare i cittadini sui benefici ambientali e sanitari di una dieta più sostenibile, riducendo l’impatto degli allevamenti intensivi.

Le mense scolastiche, in particolare, possono fungere da punto di partenza per un cambiamento culturale duraturo. Secondo uno studio dell’Università di Oxford, la riduzione del consumo di carne potrebbe ridurre le emissioni di gas serra fino al 73% per le diete vegetariane, beneficiando non solo l’ambiente, ma anche la salute pubblica. L’implementazione di queste pratiche a Torino potrebbe creare un modello replicabile in tutto il Paese, rispecchiando la recente revisione dell’Articolo 9 della Costituzione, che tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi anche nell’interesse delle generazioni future.

Inoltre, ridurre il consumo di carne e promuovere alternative vegetali è in linea con gli obiettivi di sostenibilità della città e dell’Italia, consentendo di rispettare gli impegni presi per ridurre le emissioni di gas serra. L’applicazione di progetti simili renderebbe Torino una città capofila, evidenziando l’importanza di politiche lungimiranti.

Il coinvolgimento dei cittadini e delle scuole in questo cambiamento significherebbe non solo una tutela maggiore per gli animali, ma anche un passo verso il rispetto della nostra Costituzione che richiede la salvaguardia dell’ambiente per le future generazioni .

Un impegno con la nostra Costituzione che va rispettato, per il bene di tutti!

L’Articolo 9 rappresenta un impegno fondamentale per la protezione degli animali e dell’ambiente, ma è tempo di tradurre queste parole in azioni concrete. Gli italiani chiedono a gran voce una maggiore protezione degli animali, e Torino può essere la città che guida questo cambiamento. La protezione degli animali non deve più essere un semplice ideale, ma una realtà che include tutti gli esseri viventi, domestici e da reddito. I politici di oggi e di domani devono raccogliere questa sfida di compassione e sostenibilità, ora!

#Costituzione #BenessereAnimale

Caccia: più di 7 italiani su 10 non la vogliono. Il Piemonte riparte dalle decisioni del TAR.

La sospensione dell’attività venatoria in Piemonte da parte del TAR nell’ottobre del 2024 ha rappresentato un momento cruciale nella tutela della fauna selvatica e della biodiversità regionale.

La decisione, inizialmente accolta come un passo significativo verso un cambiamento nelle politiche ambientali, è stata motivata dalla mancata revisione del Piano Faunistico Venatorio, che non tiene conto degli impatti del cambiamento climatico e delle trasformazioni ambientali sul territorio.

Alcune specie già gravemente minacciate, come la moretta, la pernice bianca, la coturnice, il fagiano di monte e l’allodola, sono state al centro dell’attenzione per il loro stato di grave declino.

Queste specie, già provate dalla perdita di habitat e dalle condizioni climatiche estreme, rischiano l’estinzione senza interventi tempestivi e rigorosi.

La vicenda ha però avuto sviluppi controversi: la Regione Piemonte ha ottenuto dal TAR un parziale ripristino dell’attività venatoria per alcune specie, giustificandolo con la presunta conformità del Piano Faunistico Venatorio attuale.

Si riaprirà quindi la caccia al fagiano di monte e alla coturnice, mentre la caccia alla moretta sarà possibile senza attendere alcun provvedimento regionale. L’attività venatoria per tutte le altre specie prosegue secondo le modalità indicate nel calendario venatorio regionale 2024-25.

Questa posizione ha suscitato critiche aspre da parte delle associazioni ambientaliste e animaliste, che denunciano la mancanza di una visione aggiornata e responsabile della gestione della fauna.

Il mancato aggiornamento del piano, richiesto da tempo, è stato considerato da molti come una grave negligenza, specialmente in un momento storico in cui le minacce antropiche alla biodiversità animale e vegetale e il cambiamento climatico stanno aggravando la situazione generale.

Siamo al paradosso

  • Da un lato, associazioni come “Caccia Libera” hanno difeso a spada tratta l’attività venatoria, affermando che “la caccia non si può fermare”. Queste recriminazioni hanno trovato terreno fertile nella Giunta di centro – destra della Regione Piemonte. L’assessore all’agricoltura, Paolo Bongioanni, infatti, dopo l’ultimo accoglimento del TAR, ha espresso: “soddisfazione per una decisione tempestiva che conferma le scelte della Regione e va incontro al mondo venatorio”.

 

  • Dall’altro, la popolazione italiana si dimostra sempre più contraria alla caccia: secondo l’ultimo Rapporto Eurispes 2024, più del 70% degli italiani è contrario a questa pratica crudele e anacronistica. Questo scollamento tra la volontà popolare e le politiche regionali mette in luce una problematica più ampia: l’incapacità di alcune istituzioni di rispondere alle mutate sensibilità sociali e alle sfide ambientali contemporanee.

Tutta questa vicenda ha evidenziato le criticità legate alla protezione della fauna selvatica, che si trova a dover affrontare pressioni sempre maggiori.

Il cambiamento climatico sta alterando profondamente gli ecosistemi, costringendo molte specie a spostarsi o a vivere in condizioni limite.

La mancanza di azioni concrete non solo rischia di impoverire ulteriormente il patrimonio naturale del Piemonte, ma rappresenta anche un pericolo per l’equilibrio ecologico dell’intera regione.

In questo contesto, l’articolo 9 della Costituzione italiana, che sancisce la tutela dell’ambiente, degli animali e della biodiversità, appare più che mai un richiamo urgente.

Tuttavia, la sua applicazione concreta si scontra con resistenze politiche e interessi consolidati, impedendo l’adozione di misure che possano davvero garantire la sopravvivenza della fauna selvatica.

La domanda che emerge da questa vicenda è cruciale: come può una Regione, nel 2024, ignorare la necessità di riformare pratiche che mettono a rischio non solo la natura e la biodiversità, ma anche la sicurezza e il benessere delle persone?

Caccia e ambiente: un’eredità tossica per la natura e l’uomo

La caccia, oltre a rappresentare una minaccia diretta per la fauna selvatica, lascia un segno profondo e indelebile sull’ambiente. Le cartucce al piombo, ancora ampiamente utilizzate, rilasciano sostanze altamente tossiche nel suolo e nelle acque, trasformando ecosistemi vitali in zone contaminate.

Questa scia non si ferma: si accumula nella catena alimentare, avvelenando gli animali acquatici e i predatori che si nutrono di carogne, e infine raggiunge gli esseri umani, con effetti potenzialmente nocivi sulla salute.

Le aree di caccia diventano così luoghi di pericolo diffuso, compromettendo non solo la fauna locale ma anche l’integrità delle foreste e delle zone rurali circostanti.

Il piombo, una volta rilasciato, contamina il terreno per decenni, contribuendo al degrado di ecosistemi già messi a dura prova dal cambiamento climatico e dalla perdita di habitat.

Le specie che abitano il Piemonte – dalle pernici bianche alle morette, dai fagiani di monte alle coturnici – rappresentano un patrimonio inestimabile non solo per la biodiversità regionale, ma per l’intero equilibrio naturale.

Ogni singolo animale è una tessera insostituibile di un mosaico complesso che regola la vita sul nostro pianeta. La caccia, tuttavia, continua a depauperare questo patrimonio, minacciando specie già in declino e accelerando un processo di estinzione che avrà conseguenze irreversibili.

SICUREZZA PUBBLICA

Non è solo la fauna a subire gli effetti devastanti di questa pratica: la caccia influisce anche sulla sicurezza pubblica. Ogni anno, numerosi incidenti – spesso tragici – coinvolgono cacciatori e cittadini che si trovano nei pressi delle zone di caccia.

Negli ultimi dieci anni, in Italia, più di 220 persone hanno perso la vita a causa di episodi legati alla caccia, a cui si aggiungono centinaia di feriti.

Questi numeri drammatici evidenziano un problema che va ben oltre la protezione della fauna: riguarda la sicurezza delle nostre comunità.

Qui è possibile documentarsi sulle Vittime della Caccia in tempo reale: bollettino – clicca qui.

In un Piemonte che lotta per preservare il suo ambiente naturale, il supporto politico alla caccia appare sempre più come una scelta anacronistica e irresponsabile.

In un momento storico in cui servirebbero azioni coraggiose per proteggere la natura e invertire il declino degli ecosistemi, la caccia rappresenta un passo indietro.

I politici locali hanno il dovere di prendersi carico di questa sfida, mettendo la tutela della natura, della fauna selvatica e della sicurezza delle persone al centro delle loro priorità.

È tempo di riflettere su cosa vogliamo lasciare in eredità alle generazioni future: una natura viva e vibrante o un ambiente devastato da scelte miopi?

La popolazione piemontese tutta, umana ed animale, necessita, ma soprattutto, MERITA amministratori più attenti alla conservazione della natura, piuttosto che al sostegno di una minoranza di cacciatori!

Più di sette italiani su dieci non vogliono la caccia

Una maggioranza schiacciante!

Il dato è chiaro e inequivocabile: secondo recenti sondaggi condotti da istituti di ricerca indipendenti, più del 70% degli italiani si dichiara contrario alla caccia.

Questo sentimento si riflette non solo nella crescente sensibilità verso i diritti degli animali, ma anche nella percezione diffusa della caccia come una pratica anacronistica, distante dalle necessità attuali di tutela ambientale e benessere animale.

La maggioranza dei cittadini ritiene che il controllo della fauna selvatica dovrebbe avvenire attraverso metodi non cruenti, come la sterilizzazione, la gestione degli habitat naturali e il monitoraggio scientifico, piuttosto che attraverso abbattimenti indiscriminati.

Questo rifiuto della caccia non è solo una questione etica, ma anche un tema di sicurezza pubblica. Sono circa 400.000 i cacciatori italiani che ogni anno, oltre ad uccidere milioni di animali, esercitano l’attività venatoria in prossimità di centri abitati e in aree sempre più estese.

Questo ha sollevato preoccupazioni crescenti tra i cittadini, che temono per la propria incolumità e per quella degli animali domestici.

La caccia è vista come una minaccia non necessaria, che potrebbe essere sostituita da soluzioni alternative più moderne e rispettose della biodiversità.

Il divario tra la volontà popolare e le attuali normative dimostra la necessità di una riforma immediata e incisiva.

La politica, troppo spesso condizionata dalle lobby venatorie, non sembra ancora pronta a recepire l’appello della stragrande maggioranza degli italiani, lasciando irrisolti i conflitti tra interessi particolari e il bene collettivo.

Tuttavia, il crescente supporto a movimenti e partiti ambientalisti e animalisti rappresenta un segnale forte e incoraggiante: il cambiamento non è solo possibile, ma inevitabile!

Una fotografia dell’attuale situazione normativa italiana

L’attuale situazione normativa in Italia sulla caccia presenta una cornice legislativa complessa e, per certi versi, contraddittoria.

La Legge di Bilancio 2023, ha modificato la LEGGE 11 febbraio 1992 n. 157 – Norme per la protezione della fauna selvatica e per il prelievo venatorio, ampliando la possibilità di abbattimenti anche in aree protette e durante periodi dell’anno precedentemente vietati, previa autorizzazione delle regioni.

Queste disposizioni hanno sollevato forti critiche da parte di associazioni ambientaliste e animaliste, che denunciano il rischio di una deregulation in grado di mettere in serio pericolo la biodiversità e il benessere animale.

A rendere il quadro ancora più controverso, sono stati degli emendamenti proposti dalla Lega nel 2024, ribattezzati “spara-tutto”, che avrebbero ulteriormente liberalizzato l’attività venatoria, consentendo la caccia su tutto il territorio, in qualsiasi periodo dell’anno e ampliando il numero di specie cacciabili.

Tuttavia, il governo ha respinto queste proposte, su pressione di associazioni, forze politiche e della società civile, sottolineando la necessità di tutelare l’ecosistema e le aree protette.

Nonostante questa vittoria parziale, le norme già introdotte dalla Legge di Bilancio 2023 restano in vigore, aprendo comunque la strada a interventi più invasivi.

Questa situazione normativa si intreccia con le competenze della Città Metropolitana di Torino, che ha facoltà regolamentari in materia di caccia e pesca.

Questi poteri offrono un’opportunità unica per agire localmente al fine di limitare il più possibile l’attività venatoria, ridurre l’impatto ambientale e dare sollievo alla fauna selvatica.

Il divieto totale di caccia rimane, a oggi, un obiettivo da perseguire attraverso una mobilitazione politica e normativa su scala locale e nazionale.

Tolstoj e la condanna alla caccia: un ritorno alla saggezza

Lev Tolstoj, nel suo scritto Contro la caccia, parlava della crudeltà di questa pratica e della sua inutilità per l’uomo moderno.

Secondo Tolstoj, la caccia è un retaggio primitivo che non trova giustificazione nell’epoca contemporanea.

Egli scrive: “La caccia non è altro che un’inutile crudeltà verso gli animali e una violenza che ci allontana dalla nostra essenza umana più profonda“.

Queste parole risuonano come un monito per la nostra società, invitandoci a riflettere sul nostro rapporto con la natura e con gli esseri viventi che la popolano.

La Caccia: sport o crudeltà?

La caccia, oggi, viene spesso difesa come un “sport” o un “controllo della fauna”, ma dietro queste giustificazioni si cela una realtà di sofferenza.

Gli animali uccisi per puro divertimento, spesso lasciati agonizzare, non sono semplicemente numeri, ma esseri senzienti capaci di soffrire.

Tolstoj descrive la caccia come “un suicidio morale“, un atto che porta l’uomo a spegnere ogni sentimento di pietà e compassione, preferendo la violenza all’amore per la vita.

Le immagini degli animali feriti e morenti, come quelle da lui descritte, sono un richiamo doloroso alla necessità di un cambiamento.

Il ruolo della politica e la necessità di un cambiamento

Più volte, in questo articolo, lo abbiamo ripetuto: è fondamentale che i politici locali e nazionali si facciano carico di questo problema.

Devono accettare di poter perdere il supporto di una piccola minoranza di cacciatori per garantire il benessere collettivo, la sicurezza pubblica, la tutela della biodiversità e la protezione ambientale.

La gestione delle risorse naturali non può più basarsi su logiche di sfruttamento intensivo, ma deve considerare il futuro del territorio e delle generazioni a venire.

Un cambiamento in questa direzione richiede coraggio e visione d’insieme, qualità che oggi devono, necessariamente, appartenere ai rappresentanti politici che siedono o aspirano a sedersi nelle amministrazioni pubbliche, sia locali che nazionali.

Il punto sul programma del Partito Animalista di Torino

Un segnale forte arriva dal Partito Animalista Italiano di Torino, che decide di inserire al punto 2. del proprio programma il divieto di caccia nel territorio metropolitano di Torino, o, nei limiti delle competenze in materia di regolamentazione dell’attività venatoria della Città Metropolitana di Torino, massima limitazione del territorio e del periodo venatorio.

Il divieto di caccia si collega al punto del programma (qui il link) sulla sicurezza pubblica nel territorio della città metropolitana.

L’appello ai giovani: una generazione che può fare la differenza

Come Tolstoj scriveva nelle sue riflessioni contro la caccia, è fondamentale che i giovani comprendano il valore della compassione e della protezione degli esseri viventi.

Solo una coscienza collettiva e una generazione motivata possono far cessare queste pratiche violente, come la caccia sportiva.

Il loro coinvolgimento è essenziale per garantire un futuro in cui la natura venga rispettata e tutelata, e in cui la vita di ogni essere senziente abbia il valore che merita.

Giovani e cittadini consapevoli possono spingere i governanti a prendere decisioni che riflettano il rispetto per l’ambiente e per tutte le forme di vita. Possono votare e mandare un messaggio chiaro!

Un esempio lungimirante potrebbe arrivare proprio dalla sensibilità dei giovani e dei cittadini torinesi. Torino, e il suo territorio metropolitano, possono invertire la rotta, e diventare laboratorio di politiche sostenibili che proteggano seriamente la fauna selvatica.

L’appello è rivolto a chiunque abbia a cuore la bellezza del nostro Pianeta e dei suoi abitanti: è tempo di cambiare, di chiedere ai nostri rappresentanti azioni concrete per il bene comune. La voce della natura non può essere ignorata.

In questo contesto, il riferimento all’articolo 9 della Costituzione Italiana, che tutela l’ambiente, gli animali e la biodiversità, assume un significato ancora più profondo.

Non è sufficiente che queste parole restino sulla carta: devono diventare una guida per la tutela di tutti.

Un futuro senza caccia è possibile

La sfida più grande è trasformare una cultura basata sulla violenza contro gli animali in un modello di convivenza armoniosa tra uomo e natura.  Più del 70% degli italiani ha parlato: non vuole la caccia!

Torino e il Piemonte devono essere i primi a rispondere a questa richiesta con determinazione e visione.

Ora più che mai, è necessario che i politici locali si facciano carico di questa sfida di civiltà. La città metropolitana di Torino ha le competenze normative per dare il buon esempio, il resto del Piemonte la seguirà.

Serve il CORAGGIO POLITICO di intraprendere un percorso che renda il nostro territorio un faro per tutta l’Italia, dimostrando che un futuro senza caccia non è solo possibile, ma è anche indispensabile per il progresso etico, ambientale e sociale della nostra comunità!

“Prendi posizione. La neutralità favorisce sempre l’oppressore, non la vittima. Il silenzio incoraggia sempre il torturatore, non il torturato.” cit. Elie Wiesel

Il programma del nuovo Partito Animalista Italiano di Torino: il ritorno di un movimento politico necessario.

Torino è pronta a una nuova era di attenzione e tutela verso l’ambiente e gli animali. Con il ritorno del Partito Animalista Italiano (PAI) sulla scena politica torinese, prende vita un movimento che mira a un cambiamento profondo, guidato da una visione che abbraccia sia il benessere degli animali sia la salvaguardia del nostro ambiente.

In un contesto in cui la crisi climatica e i diritti animali sono diventati temi cruciali, il PAI si impegna a dare voce a coloro che per troppo tempo sono rimasti inascoltati: gli animali e gli attivisti che combattono per un mondo migliore.

Un programma nazionale ambizioso: il Partito Animalista Italiano all’avanguardia

Il programma del Partito Animalista Italiano (PAI) è un progetto ambizioso e unico, ricco di iniziative pensate per rivoluzionare il panorama politico nazionale e locale in tema di ambiente, diritti degli animali e sostenibilità.

L’obiettivo è quello di rivoluzionare profondamente l’approccio alla questione ambientalista ed animalista, facendo emergere un modello più etico e consapevole, a misura d’istituzione locale. L’idea è di rendere ogni città italiana, Torino in particolare, un esempio virtuoso per il resto del Paese.

A livello nazionale, il PAI promuove misure mirate a proteggere tutti gli animali, domestici e da reddito, affrontando tematiche spesso ignorate o trattare superficialmente da altre realtà politiche, come il reale benessere degli animali, il divieto di pratiche cruente come la caccia e la vivisezione, e la cessazione dello sfruttamento dei esseri viventi senzienti in circhi e zoo.

Inoltre, il partito spinge per la conversione graduale verso un’agricoltura sostenibile e una riduzione significativa del consumo di carne, accompagnata dalla promozione di un’alimentazione a base vegetale nelle strutture pubbliche e nelle scuole.

Il programma nazionale del PAI include anche proposte per una gestione più responsabile delle risorse naturali, per combattere il cambiamento climatico e per incentivare l’utilizzo di energie rinnovabili. In questa visione, la transizione ecologica non è solo una necessità, ma un’opportunità per creare una società più equa e rispettosa di ogni forma di vita.

Per approfondire tutte le iniziative e scoprire i dettagli dell’agenda politica nazionale del PAI, è possibile consultare il programma completo qui!

Un Programma per Torino: tre grandi temi e otto punti di forza

Il Partito Animalista Italiano (PAI) porta a Torino una serie di proposte ambiziose, orientate alla sostenibilità e al rispetto per ogni forma di vita, con l’obiettivo di trasformare la città in un modello di giustizia sociale e ambientale.

I punti del programma sono suddivisi in tre importanti tematiche: benessere animale, aria pulita e trasporti sostenibili, sicurezza pubblica e giustizia sociale.

Nelle prossime settimane verrà pubblicata, sempre sul blog elezioni Torino la piattaforma programmatica, che entrerà nel dettaglio dei temi e promuoverà il confronto con i cittadini.

Ci troviamo di fronte ad un’agenda politica concreta ed organica, che mira a coinvolgere tutti e a migliorare la qualità della vita nella nostra città.

Il PROGRAMMA DEL PAI TORINESE

Benessere animale:

1. Protezione e benessere animale

Implementazione e aggiornamento delle normative comunali per garantire una protezione efficace agli animali e prevenire ogni forma di maltrattamento.

Ad esempio, verrà vietato l’accattonaggio con animali di qualsiasi specie e qualsiasi età, eliminando così il limite salvifico dell’età superiore ai 180 giorni. Saranno introdotte sanzioni più severe per chi viola il benessere animale.

Fondamentale sarà il rafforzamento dei controlli in collaborazione con la polizia locale, l’ASL e le guardie ecozoofile. 

Saranno promosse iniziative per sensibilizzare i cittadini a sostenere e unirsi alle organizzazioni animaliste e ambientaliste che svolgono funzioni di controllo.

Inoltre, si lavorerà per migliorare le condizioni operative delle guardie ecozoofile e delle associazioni impegnate nella difesa del territorio, garantendo loro un maggiore supporto logistico e fondi dedicati per ampliare e facilitare le loro attività.

Parallelamente, verranno incentivati programmi di adozione, accompagnati da campagne educative mirate a sensibilizzare la cittadinanza sull’importanza di una cura responsabile e rispettosa degli animali.

  • Stop ai Circhi con animali vivi su tutto il territorio della metropoli. Promozione di forme di spettacolo rispettose degli animali e dell’ambiente.
  • Graduale riduzione degli allevamenti intensivi sul territorio metropolitano, con incentivi per aziende che adottano pratiche cruelty-free e rispettose dell’ambiente, del benessere animale e della qualità dell’aria che respiriamo.

 

2. Divieto di caccia – Tutela degli animali selvatici e controllo del territorio. Peste suina africana (PSA).

Divieto di caccia nel territorio metropolitano di Torino, o, nei limiti delle competenze in materia di regolamentazione dell’attività venatoria della Città Metropolitana di Torino, massima limitazione del territorio e del periodo di caccia.

Il divieto di caccia si collega al punto del programma sulla sicurezza pubblica nel territorio della città metropolitana. La caccia, ormai esercitata anche presso le aree urbane, ha fatto più di 220 morti negli ultimi 10 anni, senza contare i feriti.

Creazione di un numero sempre maggiore aree protette dove gli animali selvatici possano vivere senza minacce e in armonia con il loro habitat naturale. Saranno implementati sistemi di gestione con censimenti periodici per monitorare le popolazioni animali e garantire un controllo efficace della fauna selvatica.

Particolare attenzione sarà dedicata alla gestione della popolazione dei cinghiali, attraverso metodi non violenti che includano l’installazione di recinzioni moderne e controllate, e protocolli sanitari rigorosi per prevenire e contenere emergenze come la peste suina africana.

Verranno potenziati i servizi veterinari specializzati e istituiti protocolli di intervento rapido per il recupero dell’animale deceduto e la cura di quelli feriti o in difficoltà, con un approccio etico e rispettoso dell’ecosistema.

La riduzione degli allevamenti intensivi sul territorio metropolitano sarà integrata in questa strategia, affrontando le cause profonde dell’insostenibilità del sistema e contribuendo a un miglioramento della salute pubblica e ambientale.

 

Aria pulita e trasporti sostenibili:

3. Alimentazione sostenibile e riduzione degli allevamenti intensivi sul territorio metropolitano.

Promozione di menù plant-based nelle mense scolastiche e comunali per offrire alternative cruelty-free e sostenibili. Campagne di sensibilizzazione per educare studenti e cittadini sull’importanza di scelte alimentari consapevoli, sane e rispettose dell’ambiente. Lotta contro l’apartheid alimentare, garantendo accesso a opzioni sane e sostenibili nelle zone svantaggiate del territorio torinese.

Graduale riduzione degli allevamenti intensivi sul territorio metropolitano, con incentivi per aziende che adottano pratiche cruelty-free e rispettose dell’ambiente, del benessere animale e della qualità dell’aria che respiriamo.

La riduzione di questi sistemi d’allevamento insostenibili è necessaria, oltre che per motivi etici ed ambientali, anche per arginare l’impatto sul territorio di malattie animali epidemiche, come la peste suina africana.

 

4. Trasporti e mobilità sostenibile

In un’ottica di sostenibilità, di riduzione dell’inquinamento cittadino e di decongestione del traffico veicolare, potenziamento del trasporto pubblico su gomme ed elettrico, ampliando la rete di autobus e tram a basse emissioni e promuovendo un sistema di car sharing accessibile.

Diminuzione immediata del costo dei biglietti e degli abbonamenti al trasporto pubblico cittadino, urbano ed extraurbano.

 

5. Sostenibilità ambientale, degrado urbano e gestione dei rifiuti

Lotta all’inquinamento atmosferico e acustico attraverso nuove regole per la limitazione del traffico veicolare, (soprattutto dei mezzi particolarmente inquinanti), il potenziamento delle aree verdi, la piantumazione di alberi e vegetazione autoctona per migliorare la qualità dell’aria e il paesaggio cittadino.

Lotta al degrado urbano con riqualificazione delle aree pubbliche delle zone più periferiche e abbandonate, trasformandole in spazi verdi, sicuri e fruibili per la comunità, favorendo l’integrazione sociale e migliorando la qualità della vita dei cittadini.

Gestione dei rifiuti con particolare attenzione al miglioramento della raccolta differenziata e ai servizi di pulizia delle strade pubbliche.

 

Sicurezza pubblica e giustizia sociale:

6. Sicurezza pubblica e integrazione sociale

Aumentare la presenza delle forze dell’ordine e della polizia locale nelle aree più sensibili della città, per garantire la sicurezza dei cittadini, rafforzando i controlli nelle aree verdi e parchi pubblici.

Polizia di quartiere: introduzione di unità di polizia dedicate ai singoli quartieri, con un focus particolare sulle aree periferiche.

Divieto di caccia nel territorio metropolitano al fine di garantire la sicurezza pubblica.

Promuovere l’integrazione sociale con servizi di assistenza per le famiglie, spazi di aggregazione per i giovani e iniziative culturali che favoriscano la coesione e il rispetto reciproco tra i residenti, creando comunità più sicure e inclusive.

Lotta all’apartheid alimentare, garantendo accesso a opzioni sane e sostenibili nelle zone svantaggiate del territorio torinese.

 

7. Educazione e consapevolezza sociale

Creazione di percorsi educativi per diffondere la consapevolezza ambientale e il rispetto per tutte le specie, con incontri e progetti a tema animale e ambientale nelle scuole e nelle università.

Saranno attivati programmi di adozione a distanza per animali in rifugi e santuari, consentendo ai cittadini di sostenere economicamente animali salvati e avvicinandoli a una cultura di empatia e responsabilità verso tutti gli esseri viventi.

 

 

8. Sperimentazione di un reddito di cittadinanza comunale. Super assessorato alle politiche sociali e ambientali. Bonus animali.

Il PAI propone anche di sperimentare un reddito di cittadinanza comunale per supportare i cittadini in condizioni di povertà assoluta certificata.

Iniziative simili sono già state attuate in altre città europee, come Barcellona e Utrecht, con l’obiettivo di offrire una rete di sicurezza per le fasce più deboli della popolazione.

Secondo l’ultimo rapporto della Caritas, a Torino ci sono circa 27.000 persone che vivono in povertà assoluta, una situazione che richiede interventi immediati e concreti. Il PAI crede fermamente che un piano di supporto economico, abbinato a misure di inclusione attiva, possa contribuire a migliorare le condizioni di vita di molti torinesi.

E’ prevista la creazione di un super assessorato dedicato esclusivamente alle politiche sociali e ambientali. Quest’ultimo avrà il compito di gestire la sperimentazione del reddito di cittadinanza comunale e coordinare tutte le iniziative di supporto per chi si trova in condizioni di disagio economico e sociale.

È previsto inoltre un supporto economico, sotto forma di bonus, per le famiglie in difficoltà che abbiano animali a carico, assicurando che ogni animale abbia accesso a cure e a una vita dignitosa.

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Questi sono i temi e i punti che il Partito Animalista Italiano propone per Torino.

Nelle prossime settimane, sempre su questo blog, il PAI torinese, oltre a lanciare una piattaforma programmatica, dove i cittadini potranno approfondire ciascun punto dell’agenda politica, conoscerne i dettagli e dare il proprio contributo con proposte e commenti, pubblicherà un articolo dove approfondirà il tema delle coperture economiche e finanziarie a sostegno del programma.

Un Partito che collabora: Il PAI e le associazioni del territorio

Il Partito Animalista Italiano non vuole lavorare da solo. A Torino, il PAI collaborerà attivamente con associazioni e movimenti che condividono la stessa visione per il benessere animale e la tutela ambientale. Questo approccio collaborativo è essenziale per ampliare l’impatto delle iniziative del PAI e creare una rete solida e unificata di sostegno per la causa animalista e ambientalista.

Programmi di educazione e consapevolezza

Tra i punti fondamentali del PAI spiccano i programmi di educazione e sensibilizzazione. L’obiettivo è aumentare la consapevolezza sul benessere animale e promuovere una cultura di empatia e responsabilità.

La formazione partirà dalle scuole, per educare i più giovani al rispetto per tutte le forme di vita. Il PAI mira a organizzare eventi nelle scuole e università, promuovendo un contatto diretto tra i cittadini e le tematiche animaliste.

Il nuovo coordinatore del PAI torinese

La guida del PAI a Torino è affidata a Raul Camarda, un torinese d’adozione con un forte impegno per la causa ambientalista e animalista. Con una laurea in giurisprudenza e un background nel settore della comunicazione, Raul ha deciso di mettere la sua esperienza al servizio della politica locale, credendo fermamente nella necessità di fare politica per portare il messaggio ambientalista e animalista nelle istituzioni. Sotto la sua guida, il PAI Torino lavorerà per cambiare le cose e costruire un futuro sostenibile per la città.

Ogni passo verso un futuro più etico e sostenibile è un atto di amore e responsabilità, non solo verso gli esseri viventi più vulnerabili, ma anche verso noi stessi e le generazioni future. Che domani non dicano, voi sapevate e non avete fatto nulla”.

Una dichiarazione che, secondo Raul, sintetizza il bisogno urgente di mettere da parte la bagarre politica, unire le associazioni animaliste ed ambientaliste del territorio torinese e concentrarsi su ciò che conta veramente: pianificare il futuro, mettendo al centro il benessere di tutti, animali non umani compresi.

Il futuro della politica a Torino: un nuovo approccio

Il PAI punta a una politica innovativa, che vada oltre le ideologie tradizionali e si concentri sul benessere della comunità e dell’ambiente. Torino ha l’opportunità di diventare un modello di sostenibilità e di rispetto per gli animali, e il PAI è determinato a realizzare questa visione.

Unisciti al cambiamento – ISCRIVITI AL PARTITO ANIMALISTA. Chiunque voglia unirsi al Partito Animalista Italiano può iscriversi a questo link: TESSARAMENTO PAI 2025

Per maggiori informazioni è possibile contattare Raul Camarda:

  • Telefono: 0039 – 3272492764
  • Email: info.painorditalia@gmail.com
  • Pagina facebook PAI Torino: clicca qui

Il trasporto di animali vivi: la storia di Francesco, il maialino.

Nella tranquilla Pianura Padana, tra le nebbie e i campi verdeggianti vicino Torino, nacque un maialino di nome Francesco.

La sua vita iniziò in una gabbia stretta e fredda, ma l’amore della sua mamma lo avvolgeva come una coperta calda. Francesco trascorse i suoi primi mesi accanto a lei e ai suoi fratellini, tra le sbarre di ferro che delimitavano il loro mondo.

La mamma lo proteggeva, lo nutriva e Francesco ignaro del destino, giocava felice tra le sbarre, cercando di scoprire quel piccolo spazio limitato che lo circondava.

Ogni giorno per lui era una nuova avventura. Amava correre tra i fratellini, annusare il cibo che gli veniva dato e soprattutto adorava addormentarsi accanto alla mamma, sentendosi al sicuro nel suo abbraccio.

Ma con il tempo, il suo mondo iniziò a cambiare. Un giorno, vide uno dei suoi fratellini venir portato via da uomini che puzzavano di sudore e paura. I loro modi erano bruschi e aggressivi e il fratellino di Francesco non tornò mai più.

La paura iniziò a insinuarsi nel cuore di Francesco. Ogni volta che quegli uomini entravano nella gabbia, sapeva che qualcuno sarebbe stato portato via. E così accadde, giorno dopo giorno, fino a quando un mattino fu il turno di Francesco.

Venne strappato dalle braccia della madre, che grugnì disperata. Francesco si trovò in una nuova gabbia, più piccola, affollata di altri maiali sconosciuti. Sentiva il panico crescere dentro di lui.

Vennero caricati su un camion rumoroso e caldo. Era luglio ed il sole cocente rendeva l’aria insopportabile. Francesco non aveva mai visto la luce del giorno e il viaggio fu per lui un incubo.

L’aria era densa di odori strani e i lamenti degli altri maiali lo riempivano di angoscia. Mentre il camion procedeva sull’autostrada, Francesco iniziò a boccheggiare, cercando disperatamente di respirare in quell’ambiente soffocante.

Durante una sosta in una piazzola, un bambino curioso si avvicinò al camion. Era in viaggio con la sua famiglia verso la loro destinazione estiva preferita, un paesino di mare della Liguria.

I suoi genitori avevano deciso di fare una breve sosta per rinfrescarsi e prendere qualcosa da mangiare. Il bambino, con occhi grandi e pieni di innocenza, notò il camion e si avvicinò, attratto dai suoni e dai movimenti all’interno.

Il maialino Francesco, con uno sguardo che sembrava chiedere aiuto, fissò il bambino. I due si osservarono per qualche istante, un momento di connessione in mezzo al caos.

Il bambino si avvicinò al camion, allungando una mano per toccare il muso di Francesco. Il contatto fu breve, ma in quel momento sentì un po’ di conforto.

Il bambino, vedendo quegli occhi pieni di paura, iniziò a parlare con il maialino, raccontandogli della sua famiglia, delle sue avventure e di quanto fosse emozionato per le vacanze.

Dal canto suo, Francesco il maialino sentiva di aver trovato un amico, quel poco tempo trascorso insieme gli aveva regalato tanta serenità e molte carezze affettuose. Adorava ascoltare tutte quelle storie ed il tempo, per un po’, sembrò fermarsi.

Ad un tratto però, la mamma del bambino lo chiamò dolcemente “Francesco, amore mio, andiamo”, invitandolo a tornare in macchina per riprendere il viaggio verso la Liguria.

Avevano lo stesso nome!

Francesco il maialino si sentii ancora più in sintonia con Francesco il bambino che ormai aveva occhi solo per lui.

Era però arrivato il momento dei saluti. Francesco il bambino, pose una mano sul naso di Francesco il maialino ed accarezzandolo con dolcezza, disse “saremo per sempre amici!”.

Si girò e andò verso la sua mamma, che lo attendeva a braccia aperte vicino la loro macchina, pronti per riprendere il viaggio estivo.

Francesco il maialino, osservò il suo nuovo amico allontanarsi, sentendo un vuoto nel cuore. Pensava alla sua mamma che aveva lasciato nella gabbia, chiedendosi se un giorno avrebbe mai potuto rivederla, riabbracciala o risentirla chiamare il suo nome, come era stato per Francesco il bambino.

Le mancava molto e sperava, con tutto se stesso, che stesse bene.

Il viaggio riprese e le temperature all’interno del camion continuarono a salire. Francesco il maialino, ormai esausto e disorientato, arrivò finalmente a destinazione: un luogo chiamato macello.

La storia di Francesco il maialino si interrompe qui. Non sappiamo più nulla di lui. Il suo amico Francesco il bambino, non lo ha mai più rivisto. Ma il ricordo di quegli occhi pieni di paura rimarrà per sempre con lui.

IL SERIO PROBLEMA DEL TRASPORTO DI ANIMALI VIVI

La storia di Francesco non è un’eccezione. Ogni anno, milioni di animali vengono trasportati in condizioni terribili verso i macelli. Quanti di noi, incontrando in autostrada TIR pieni di animali ammassati, non si è chiesto che fine facessero e quanta sofferenza provassero, soprattutto in certi mesi dell’anno?!

Beh, l’Unione Europea ha regolamentato il trasporto di animali vivi con normative specifiche, come il Regolamento (CE) n. 1/2005 che stabilisce norme per la protezione degli animali durante il trasporto.

Ecco alcuni punti chiave della normativa:

  • Nessuno è autorizzato a trasportare o a far trasportare animali in condizioni tali da esporli a lesioni o a sofferenze inutili.
  • Si devono prendere previamente tutte le disposizioni necessarie in materia di trasporto per ridurre al minimo la durata del viaggio e assicurare i bisogni degli animali durante il viaggio.
  • Acqua, alimenti e riposo devono essere previsti in caso di necessità.
  • mezzi di trasporto e le strutture di carico e scarico devono essere progettati, costruiti, mantenuti e usati in modo da evitare lesioni e sofferenze e assicurare l’incolumità degli animali.
  • Il personale che accudisce gli animali deve essere adeguatamente formato e competente.
  • Il trasporto alla destinazione deve avvenire senza indugio e prevedere controlli regolari sul benessere degli animali.
  • Agli animali deve essere garantito un sufficiente spazio d’impiantito e un’altezza sufficiente.

Tuttavia, queste norme vengono spesso ignorate o non applicate rigorosamente. Gli animali sono costretti a viaggi lunghi, senza cibo né acqua, in spazi angusti e in condizioni climatiche estreme.

Secondo l’Organizzazione Mondiale per la Sanità Animale (OIE)un animale gode di benessere quando è sano, in condizioni di confort, nutrito adeguatamente, sicuro, libero di esprimere il proprio comportamento naturale e non soffre di angoscia, dolore, paura o sofferenza

Secondo le statistiche, invece, il trasporto di animali vivi per terra e per mare causa sofferenze immense e inutili. Gli animali arrivano ai macelli stremati, feriti e spesso già morti.

Questa pratica crudele non solo è inaccettabile dal punto di vista etico, ma rappresenta anche un grave problema di salute pubblica e sicurezza alimentare.

Soluzioni inadeguate e la radice del problema

Nonostante l’esistenza di normative come il Regolamento (CE) n. 1/2005, il trasporto di animali vivi rimane una delle pratiche più crudeli e meno regolamentate del settore alimentare.

Come spesso accade, le soluzioni proposte sono superficiali e inadeguate, lasciando intatta la radice del problema: un’industria alimentare che sfrutta e abusa animali, lavoratori e risorse naturali.

Questa industria si fonda su un modello produttivo ormai obsoleto, che considera gli animali come semplici merci e non come esseri senzienti. È lo stesso sistema che ha trasformato la Pianura Padana in una delle regioni più inquinate d’Europa.

Il settore della carne, e in particolare quello degli allevamenti intensivi, è noto non solo per la sofferenza inflitta agli animali, ma anche per le condizioni di lavoro degradanti e pericolose a cui sono sottoposti i lavoratori.

Un’inchiesta condotta dal programma Report ha rivelato come i lavoratori dei macelli siano spesso sottopagati, sfruttati e costretti a operare in condizioni sanitarie e di sicurezza precarie . Questo sfruttamento si estende lungo tutta la catena produttiva, dalla raccolta del foraggio alla macellazione.

Il vero problema è l’industria della carne stessa: un sistema insostenibile che sfrutta risorse, persone e animali senza rispetto per il benessere di alcuna delle parti coinvolte.

Secondo un rapporto di Food and Water Watch, l’industria della carne è anche una delle maggiori responsabili delle emissioni di gas serra a livello globale, contribuendo significativamente al riscaldamento globale.

Il metano prodotto dagli allevamenti intensivi, il consumo di acqua e l’inquinamento delle falde acquifere sono solo alcuni degli impatti devastanti di questo modello industriale .

Eppure, le soluzioni proposte finora si concentrano solo su miglioramenti tecnici del trasporto, come la gestione del tempo di viaggio e la ventilazione dei camion, ma non affrontano la necessità di cambiare il modo di pensare alla nostra alimentazione.

Le normative esistenti sono spesso mal applicate e i controlli sono insufficienti. Questo porta a una situazione in cui, nonostante le regole, gli animali continuano a subire inutili sofferenze.

Gli automezzi che trasportano gli animali non sono sempre dotati di sistemi adeguati per mantenere condizioni ottimali di temperatura e umidità, e i lunghi tempi di viaggio aumentano lo stress e il rischio di malattie. Anche le sanzioni per chi viola le regole sono spesso troppo basse per fungere da deterrente.

Insomma, la radice del problema rimane intatta: la produzione industriale di carne in quantità massicce e a costi bassi, a scapito del benessere animale e umano.

 

LA RISPOSTA del PARTITO ANIMALISTA ITALIANO

È giunto il momento di riconoscere che le soluzioni temporanee e i miglioramenti marginali non sono sufficienti. Se vogliamo affrontare davvero il problema del trasporto di animali vivi e, più in generale, dell’industria della carne, è necessaria una trasformazione positiva del sistema produttivo e delle nostre abitudini alimentari.

Ecco tre proposte concrete:

 

  • in attesa di un vero cambiamento – Tecnologie di monitoraggio avanzato. L’introduzione di sistemi di monitoraggio obbligatori, come videocamere, GPS e sensori per il controllo delle temperature, può rappresentare un passo avanti per garantire che gli animali siano trasportati nel rispetto delle normative. Queste tecnologie permetterebbero un monitoraggio continuo delle condizioni di trasporto, rendendo possibile l’intervento immediato in caso di violazioni . Sistemi simili sono già utilizzati in altri settori di trasporto e logistica.

 

  • verso la strada giusta – Promuovere alternative alimentari sostenibili. Un vero cambiamento passa attraverso la riduzione della domanda di carne. Investire in tecnologie per la produzione di carne vegetale e/o coltivata e incentivare il consumo di alimenti a base vegetale sono strategie già avviate con successo in diversi paesi. La carne vegetale o coltivata potrebbero ridurre drasticamente la necessità di allevamenti intensivi e di trasporto di animali vivi, contribuendo al miglioramento del benessere animale e alla riduzione delle emissioni di gas serra . Torino potrebbe diventare un centro di sperimentazione per queste nuove alternative alimentari, promuovendo un cambiamento culturale ed economico;

 

  • il giro di boa – Stop al trasporto di animali vivi via mare, terra e aria. L’abolizione del trasporto di animali vivi su lunghe distanze è un obiettivo a lungo termine che sta guadagnando terreno in paesi come la Nuova Zelanda, che ha già vietato il trasporto di animali vivi per mare . L’adozione di una politica simile in Europa potrebbe ridurre drasticamente le sofferenze inflitte agli animali e migliorare la sicurezza alimentare. Con il tempo, bisogna eliminare completamente la necessità di trasportare animali vivi per centinaia di chilometri, in condizioni disumane.

Tre Proposte per la Città di Torino

La città di Torino può fare molto per contribuire alla riduzione del trasporto di animali vivi nelle sue autostrade e promuovere un’alimentazione più sostenibile. Il partito animalista della città metropolitana di Torino propone:

  1. campagne di sensibilizzazione: Torino potrebbe lanciare campagne di sensibilizzazione pubblica sull’impatto del trasporto di animali vivi. Queste campagne potrebbero includere pubblicità sui mezzi di trasporto pubblico, eventi informativi nelle scuole e nelle comunità, e collaborazioni con ONG e associazioni animaliste per educare i cittadini sull’importanza di scegliere alternative alimentari più etiche e sostenibili;

 

  1. sostegno a progetti agricoli locali: la città potrebbe promuovere e finanziare progetti agricoli locali che adottano pratiche sostenibili. Questo potrebbe includere la creazione di mercati contadini, il sostegno a cooperative agricole locali, promozione della filiera corta plant-based.

 

  1. iniziative di politica inclusiva: Torino, come città metropolitana, potrebbe diventare un volano di attività di sensibilizzazione e progetti politici inclusivi, collaborando con altre città e regioni per promuovere un approccio coordinato e integrato alla riduzione del trasporto di animali vivi. Questo potrebbe includere la creazione di tavoli di lavoro interregionali, la promozione di buone pratiche e l’adozione di regolamenti locali che incentivino il consumo di prodotti alimentari sostenibili e rispettosi del benessere animale.

Insomma, il futuro è nelle nostre mani

La storia di Francesco il maialino ci offre una visione chiara della crudeltà che permea l’industria della carne e del trasporto di animali vivi. Tuttavia, questo non deve rimanere solo un triste racconto, ma deve servire come stimolo per un cambiamento reale e duraturo.

Il futuro del nostro sistema alimentare è nelle nostre mani e sta a noi decidere se continuare su questa strada di sfruttamento e sofferenza o se vogliamo costruire un mondo più giusto, sostenibile e compassionevole.

Torino, con le sue risorse e il suo spirito innovativo, può diventare un faro di questo cambiamento.

Promuovere campagne di sensibilizzazione, sostenere progetti agricoli locali e lavorare insieme a livello nazionale e internazionale per vietare il trasporto di animali vivi sono solo alcuni dei passi che possiamo intraprendere.

Ma la cosa più importante è che ogni singola azione conta: scegliere alternative alimentari più sostenibili, votare per politici che pongano il benessere animale e la sostenibilità al centro delle loro agende e far sentire la propria voce per richiedere un cambiamento!

Insieme, possiamo fare la differenza. Possiamo porre fine a questa tragedia e costruire un sistema alimentare più giusto, sostenibile e rispettoso di tutte le forme di vita. Ogni Francesco di questo mondo si merita di essere felice!

#PRIMAGLIULTIMI

Un amico tradito: comincia la mattanza dei colombi a Torino

C’è una storia che pochi conoscono, una storia che ci riguarda tutti: quella del piccione, o Columba livia, come lo chiamano i biologi. Questo uccello, che oggi vediamo comunemente svolazzare nelle nostre piazze e sui balconi delle città, ha una lunga storia di amicizia con l’uomo.

Il piccione, infatti, ha aiutato l’uomo per secoli. Addomesticato circa 3 mila anni fa in Medio Oriente (Palestina) e utilizzato come messaggero durante le guerre, nelle competizioni sportive, e persino per salvare vite umane, il piccione ha servito l’umanità con lealtà e dedizione.

Nella Prima e Seconda Guerra Mondiale in particolare, piccioni addestrati salvarono vite umane, consegnando messaggi vitali per le operazioni militari. Celebri sono le storie di piccioni decorati per il loro coraggio, come Cher Ami, un piccione eroe che salvò un battaglione americano nel 1918 .

I piccioni sono animali altamente sociali e fedeli al proprio partner. Una volta formata una coppia, restano insieme per tutta la vita. Non solo, ma scelgono con cura il proprio nido e tendono a tornare sempre nello stesso luogo, perché quel posto rappresenta sicurezza e stabilità.

Per chi pensa che siano solo animali senza sentimenti, sappiate che sono animali che soffrono, che provano gioia quando vedono il loro compagno tornare al nido e tristezza quando non lo trovano. Sono uccelli che conoscono l’amicizia e l’amore, proprio come noi esseri umani.

Non solo sono fedeli al loro partner, ma lo sono anche al loro nido. Una volta scelto un luogo per la nidificazione, i piccioni tendono a tornare lì anno dopo anno, perché quel luogo rappresenta sicurezza e stabilità.

Si tratta di animali che cercano conforto nella familiarità, provando emozioni simili a quelle che conosciamo noi umani.

Purtroppo, nonostante questi legami profondi e la lunga storia di collaborazione con l’uomo, i piccioni sono stati traditi. Dopo aver servito per secoli come messaggeri e alleati, oggi vengono spesso trattati come parassiti delle città.

Questa percezione distorta ha portato a politiche di controllo cruenti e disumane.

La delibera approvata dalla Città Metropolitana di Torino per il controllo della popolazione dei piccioni, che prevede il loro abbattimento in massa, rappresenta il culmine di questo tradimento.

Un provvedimento che non considera i legami che abbiamo condiviso con questi uccelli, né la sofferenza che provocherà loro.

Il tradimento di un amico: il piano di abbattimento dei piccioni a Torino

Il Piano di Controllo del Colombo 2024-2029, approvato dalla Città Metropolitana di Torino, stabilisce metodi brutali per la gestione della popolazione dei piccioni.

Tra le tecniche proposte ci sono l’utilizzo di gabbie trappola, che catturano gli uccelli per poi sopprimerli, e metodi di abbattimento cruenti che infliggeranno sofferenze indicibili a questi animali.

Si parla di un problema igienico-sanitario e di danni agli edifici storici, ma si sceglie una soluzione violenta e disumana, ignorando completamente il diritto alla vita di questi uccelli.

Il piano, sostenuto dalla Giunta, è stato giustificato come necessario per ridurre la presenza di piccioni in aree critiche della città.

Eppure, non si può fare a meno di chiedersi: perché si è fatto così poco prima di arrivare ad una soluzione così cruenta? È possibile che questo piano sia una risposta alla mancanza di visione a lungo termine nella gestione della fauna urbana?

La delusione politica: tutti d’accordo per il massacro

Quello che desta ancora più sconcerto è il consenso politico trasversale che ha accompagnato questa decisione. Nessun partito si è opposto con forza alla delibera.

Si potrebbe pensare che, almeno in una città come Torino, che si fregia di essere attenta al benessere animale, ci sarebbe stata una forte resistenza.

Ma purtroppo, sembra che la via più facile e immediata sia stata quella di rimuovere il “problema” con una traslocazione cervicale (uno dei metodi “eutanasici” scelti per la soppressione dei colombi) , anziché cercare soluzioni più lungimiranti e compassionevoli.

Nessuno si è davvero messo nei panni dei piccioni o ha ascoltato le numerose proposte alternative che le associazioni animaliste hanno avanzato.

Meglio uccidere che trovare soluzioni etiche e sostenibili. Ancora una volta, il silenzio della politica parla di una mancanza di empatia, di un’incapacità di vedere oltre le soluzioni temporanee.

La delibera che strizza l’occhio ai “selecontrollori

Nella sezione dedicata alle aree extraurbane, la delibera per il controllo dei piccioni si addentra in un territorio particolarmente inquietante: la soppressione tramite colpi di fucile.

Secondo il piano di controllo per il periodo 2024-2029, nelle campagne e nelle zone rurali della città metropolitana di Torino, oltre alle gabbie trappola, si autorizza l’uso del fucile per abbattere i colombi.

Questo passaggio non fa altro che strizzare l’occhio ai cacciatori o per meglio dire ai “selecontrollori formati ed autorizzati, che saranno ben felici di poter sparare legalmente a un’altra specie.

Un modo per mascherare la caccia sotto il velo della “gestione faunistica”.

I selecontrollori venatori troveranno nella delibera una scappatoia legale per esercitare la loro passione in nome del controllo delle specie, purtroppo senza tenere conto del fatto che la sofferenza degli animali rimane la medesima, e che si promuove ancora una volta l’eliminazione violenta come unica soluzione.

Se da una parte l’amministrazione cerca di giustificare queste scelte come necessarie per il benessere pubblico, dall’altra ci si domanda: è davvero questa l’unica strada percorribile?

Non si poteva fare diversamente? Di sicuro i cacciatori ne saranno felici (qui il nostro articolo sulla Caccia), ma noi dobbiamo chiederci: questo è il futuro che vogliamo per il nostro territorio?

Alternative non cruente e poco considerate

Eppure, le alternative esistono e sono state suggerite da più parti, inclusa la sezione di Torino del Partito Animalista Italiano (PAI). In diverse città del mondo, soluzioni etiche ed efficaci per il controllo della popolazione dei piccioni sono state adottate con successo.

Ecco alcune delle proposte etiche che Torino avrebbe potuto prendere in considerazione:

  1. Controllo delle nascite: l’uso di mangimi anticoncezionali per ridurre la capacità riproduttiva dei piccioni. Questa tecnica è già stata sperimentata con successo in città come Barcellona e Venezia, dove ha dimostrato di essere efficace nel contenere la popolazione senza causare sofferenza agli animali.
  2. Nidificazione controllata: creare spazi specifici per la nidificazione, in cui è possibile monitorare la popolazione e rimuovere le uova in eccesso in modo controllato. In questo modo, la crescita demografica dei piccioni può essere gestita senza la necessità di abbattimenti.
  3. Dissuasori non letali: sistemi come reti o ultrasuoni sono già utilizzati in molte città per impedire ai piccioni di accedere a determinate aree senza arrecare loro danno. Questi strumenti offrono una soluzione pratica e compassionevole, e potrebbero essere facilmente implementati anche a Torino.
  4. Infine, l’educazione pubblica gioca un ruolo cruciale nella gestione della popolazione dei piccioni. Molto spesso, i piccioni sono incoraggiati a riprodursi in modo incontrollato proprio perché vengono nutriti dai cittadini, senza che questi comprendano le conseguenze di questo gesto. Campagne di sensibilizzazione potrebbero ridurre notevolmente il problema alla radice, spiegando l’importanza di non alimentare i piccioni in modo indiscriminato.

Queste soluzioni avrebbero permesso di ridurre la popolazione dei piccioni in modo graduale e rispettoso della loro vita, eppure sono state prese solo parzialmente in considerazione e attuate senza un strategia sistemica (i Comuni interessati dovevano emanare ordinanze di divieto di foraggiamento e di obbligo di chiusura dei siti di potenziale nidificazione presenti negli edifici pubblici e privati).

Perché? La risposta sembra risiedere in una mancanza di visione politica, una mancanza di interesse per una gestione lungimirante della fauna urbana.

Abbiamo bisogno di una politica etica e sostenibile che anticipi i problemi

Torino merita una politica che sappia anticipare i problemi, non che li affronti con gabbie tortura e colpi di lupara.

La gestione della fauna urbana non può ridursi all’eliminazione degli animali che consideriamo “fastidiosi”. Dobbiamo imparare a convivere con gli altri esseri viventi in modo pacifico, rispettando i loro diritti e il loro ruolo nell’ecosistema urbano.

I piccioni sono parte integrante delle città italiane e meritano di essere trattati con rispetto. Non possiamo continuare a tradire quegli animali che abbiamo addomesticato e da cui abbiamo tratto beneficio.

#Votare per politici che abbiano una visione etica e sostenibile significa garantire che questi tradimenti non si ripetano. Significa scegliere una gestione urbana che sia rispettosa di tutte le forme di vita. Significa essere consapevoli e voler cambiare le cose.

Il massacro dei piccioni a Torino è l’ennesimo favore a un sistema che vede la violenza come unica soluzione. Ma non è così che si risolvono i problemi. Non con la violenza, ma con la compassione e la lungimiranza.

È ora di agire. È ora di eleggere leader illuminati, che abbiano il coraggio di difendere il nostro territorio e tutti gli esseri viventi che lo popolano!

#VOTOCONSAPEVOLE #COLOMBI

Appuntamenti

 

Ci vediamo il 7 dicembre 2024, dalle ore 15.00 alle 18.00, a PIAZZA CASTELLO (TO), per MANIFESTARE contro la strage di piccioni nella Città Metropolitana di Torino.

La manifestazione vedrà protagoniste le organizzazioni e le associazioni animaliste del territorio torinese!

#DirittiAnimali

La fame nel mondo e l’industria della carne: una connessione che può essere spezzata partendo dalla nostra città.

L’industria della carne ha un impatto devastante non solo sull’ambiente, ma anche sulla distribuzione delle risorse alimentari a livello globale.

Il consumo di carne non è solo un problema di benessere animale o di cambiamento climatico: è strettamente legato alla fame nel mondo.

Questo articolo di Animal Equality spiega chiaramente come una quantità enorme di risorse agricole venga destinata alla produzione di mangimi per il bestiame, anziché al nutrimento diretto delle persone.

Si stima che per produrre un chilogrammo di carne bovina siano necessari tra i 7 e i 10 chilogrammi di grano.

Questo squilibrio nell’allocazione delle risorse alimentari ha conseguenze drammatiche: mentre i paesi sviluppati consumano quantità esorbitanti di carne, milioni di persone in altre parti del mondo soffrono di fame e malnutrizione.

Dati sull’impatto dell’industria della carne

Uno degli aspetti più sconvolgenti è proprio la quantità di grano e altre colture destinate all’alimentazione animale.

Le risorse che potrebbero essere utilizzate per sfamare direttamente le persone vengono invece destinate a nutrire animali da allevamento. Questo meccanismo è parte integrante di un ciclo che alimenta le disuguaglianze globali.

Secondo la FAO (Food and Agriculture Organization), il 33% dei cereali prodotti nel mondo viene destinato all’alimentazione del bestiame.

Questo non solo sottrae cibo dalle tavole dei più bisognosi, ma contribuisce anche alla crisi ecologica, poiché l’allevamento intensivo richiede un uso massiccio di risorse idriche e provoca deforestazione e perdita di biodiversità.

Inoltre, le emissioni di gas serra generate dal settore zootecnico rappresentano una delle principali cause del cambiamento climatico, con il metano rilasciato dagli allevamenti intensivi che ha un effetto serra 28 volte più potente del biossido di carbonio.

Ridurre il consumo di carne è una misura fondamentale non solo per proteggere l’ambiente, ma anche per redistribuire meglio le risorse alimentari a livello globale.

La fame nel mondo e il consumo di carne

Attualmente, il Pianeta produce cibo sufficiente per sfamare circa 10 miliardi di persone, ma nonostante ciò, oltre 800 milioni di persone soffrono la fame.

La ragione principale di questa contraddizione risiede nel fatto che gran parte delle risorse agricole viene utilizzata per sostenere l’industria della carne.

Qualche dato. Per 100 grammi di proteine che diamo da mangiare ad un manzo ce ne restituisce 5 utilizzabili, e così via dicendo per maiali, polli, ecc.

Il Worldwatch Institute ha stimato che solo il 10% delle calorie fornite dagli alimenti destinati agli animali da allevamento ritorna sotto forma di carne, latticini o uova, mentre il restante 90% viene “perso” nel processo di crescita degli animali.

Questo squilibrio è particolarmente evidente se consideriamo l’acqua necessaria per produrre carne rispetto a quella necessaria per produrre alimenti vegetali.

Per esempio, produrre 1 kg di carne di manzo richiede circa 15.000 litri di acqua, mentre 1 kg di grano ne richiede solo 1.500 . È evidente che l’attuale sistema alimentare, basato principalmente sulla produzione di carne, non è sostenibile.

L’emotività dietro l’industria della carne

L’industria della carne non è solo una questione di numeri o di impatti ambientali. C’è un profondo aspetto emotivo e morale che riguarda il modo in cui trattiamo gli animali.

Gli animali da allevamento, spesso sottoposti a condizioni crudeli e disumane, vivono in spazi angusti, soffrono di stress e malattie, e vengono macellati in modo crudele. Questa sofferenza non è solo eticamente sbagliata, ma ha anche conseguenze sulla qualità della carne che consumiamo.

Molti studi hanno dimostrato che gli animali allevati in condizioni di stress cronico producono carne di qualità inferiore, con livelli più alti di cortisolo, un ormone dello stress.

Questo significa che, oltre alle questioni morali, vi sono anche implicazioni per la nostra salute.

Un cambiamento necessario: il Piano di Riduzione della Carne

La Danimarca ha preso atto di questa connessione tra l’industria della carne e i problemi globali e ha messo in atto un piano ambizioso per ridurre il consumo di carne a livello nazionale.

Questo piano mira a trasformare il settore agricolo danese in un modello più sostenibile, riducendo la produzione di carne del 25% entro il 2030.

L’obiettivo finale è quello di creare un sistema alimentare che sia più rispettoso dell’ambiente e delle risorse naturali, favorendo al contempo la salute umana e il benessere animale .

Nel piano danese, l’alimentazione a base vegetale gioca un ruolo cruciale. Le autorità incoraggiano il passaggio a diete più sane e sostenibili attraverso incentivi per l’agricoltura biologica e il supporto alla ricerca su alternative proteiche.

Un altro obiettivo è quello di abbattere le emissioni di gas serra e ridurre lo spreco di risorse agricole.

Per saperne di più sul piano danese e la sua visione a lungo termine, leggi il nostro approfondimento sul Piano di riduzione della carne danese.

La variante italiana. Un piano tutto nostro.

Se la Danimarca può implementare un piano di riduzione della carne, perché l’Italia non può fare lo stesso?!

Un piano di riduzione della carne italiano potrebbe includere incentivi per i produttori agricoli che scelgono di dedicarsi all’agricoltura sostenibile, con un forte supporto a cooperative e coltivazioni locali.

Promuovere l’alimentazione a base vegetale nelle scuole, negli ospedali e nelle mense pubbliche sarebbe un passo significativo per ridurre la domanda di carne e incoraggiare scelte alimentari più etiche.

Un piano simile in Italia dovrebbe prevedere:

  1. IVA ridotta sui prodotti vegetali: invertire l’attuale paradosso fiscale, applicando un’IVA più bassa sui prodotti di origine vegetale rispetto a quelli di origine animale. Questa misura incentiverebbe il consumo di alternative vegetali, rendendole economicamente più accessibili e favorendo una transizione verso un sistema alimentare più sostenibile.
  2. Incentivi fiscali per le aziende agricole biologiche: offrire agevolazioni fiscali e finanziamenti a chi sceglie di produrre alimenti vegetali biologici e sostenibili.
  3. Sovvenzioni per la ricerca: investire nella ricerca di tecnologie innovative per la produzione di carne coltivata in laboratorio e alternative vegetali.
  4. Campagne di sensibilizzazione: educare i cittadini sui benefici di una dieta plant-based non solo per la salute personale, ma anche per l’ambiente.

I vantaggi di un piano di riduzione della carne sono molteplici. Non solo ridurrebbe le emissioni di gas serra, ma alleggerirebbe anche la pressione sulle risorse idriche e agricole.

La dieta mediterranea, quella originale, già famosa per la sua ricchezza in frutta, verdura e cereali, potrebbe diventare il modello alimentare di riferimento, esportando l’immagine di un’Italia che punta alla sostenibilità.

Torino come New York: un modello da seguire

Torino ha l’opportunità di diventare una pioniera in Italia nella lotta contro il cambiamento climatico e l’impatto ambientale dell’industria della carne, prendendo esempio da città come New York.

Nella Grande Mela, iniziative come il Green New Deal e il Plant-Based Food Policy hanno dimostrato come politiche mirate possano trasformare il sistema alimentare locale, rendendolo più sostenibile e orientato alla salute pubblica.

Adottare piani simili significherebbe introdurre pasti plant-based nelle mense scolastiche, ospedaliere e pubbliche di Torino, educando al tempo stesso i cittadini sui benefici ambientali ed etici di una dieta a base vegetale.

Torino come città faro nella promozione di sistemi alimentari sostenibili.

La città potrebbe avviare, in una prima fase, progetti pilota nelle mense comunali, riducendo progressivamente la carne nei menù e coinvolgendo la popolazione attraverso campagne educative che evidenzino i benefici di una dieta plant-based per il benessere animale, l’ambiente e la salute.

Ma per realizzare questa visione, non bastano solo iniziative isolate: servono politiche coraggiose e amministratori visionari che abbiano la determinazione di inaugurare una nuova stagione di cambiamenti strutturali.

Proposte per un futuro più verde

Le scelte individuali hanno un impatto collettivo, ma è attraverso decisioni politiche strategiche che si costruisce un cambiamento duraturo. Torino ha bisogno di leader che mettano al centro delle loro agende politiche il benessere degli esseri viventi e la sostenibilità ambientale.

Altre punti del piano da sviluppare sono:

  • Introduzione di incentivi fiscali per produttori agricoli locali: sostenere le cooperative agricole che producono alimenti biologici e sostenibili, riducendo la dipendenza dai modelli intensivi.
  • Promozione di orti urbani: incentivare ogni quartiere a creare spazi per la coltivazione condivisa, rafforzando la comunità e migliorando la sicurezza alimentare locale.
  • Piani di educazione alimentare su larga scala: campagne che sensibilizzino i cittadini sull’impatto della produzione di carne e sull’importanza di scelte alimentari sostenibili, coinvolgendo scuole, associazioni e aziende.

Il ruolo della politica e il potere del voto

Come detto, questa transizione richiede amministratori coraggiosi che non temano di prendere decisioni impopolari nel breve termine, ma necessarie per costruire un futuro più equo e sostenibile.

Serve una classe politica che comprenda l’urgenza di agire, che scelga di sostenere modelli di produzione etica e di promuovere stili di vita rispettosi dell’ambiente.

Allo stesso tempo, i cittadini hanno un ruolo chiave: contribuire con scelte etiche e sostenibili nella loro quotidianità e, soprattutto, con il proprio voto consapevole.

È cruciale sostenere rappresentanti politici che si impegnino concretamente per il cambiamento, che comprendano l’importanza di trasformare Torino in un esempio nazionale di sostenibilità alimentare.

Un futuro che possiamo costruire insieme

Torino può davvero diventare una città modello, un punto di riferimento per tutte le altre realtà italiane.

Questo non è un sogno irraggiungibile, ma una visione concreta che dipende da scelte lungimiranti e dalla responsabilità condivisa di amministratori e cittadini.

Un futuro più verde, equo e rispettoso della vita animale è possibile, ma solo se troveremo la forza di stare dalla parte giusta!

#AgireOra #VotoConsapevole #Carne

La Danimarca riduce la carne. E noi?! Torino può essere la New York italiana.

La Danimarca, un piccolo paese del nord Europa, ha recentemente fatto un grande passo verso la sostenibilità alimentare attraverso l’adozione di un piano nazionale per la riduzione del consumo di carne e la promozione degli alimenti a base vegetale.

Questo piano è parte integrante della transizione verde che il paese ha deciso di intraprendere, con l’obiettivo di ridurre drasticamente le emissioni di gas serra, promuovere la salute pubblica e incoraggiare uno stile di vita più sostenibile.

La Storia del piano danese

La genesi di questo piano risale a un lungo dibattito iniziato già alla fine degli anni 2000, quando le preoccupazioni ambientali cominciavano a dominare l’agenda politica globale.

Ma è solo nel 2021, con l’accordo per la transizione verde dell’agricoltura danese, che è stato posto un chiaro obiettivo: ridurre il consumo di carne attraverso una serie di politiche volte a favorire il passaggio verso una dieta più vegetale.

Il piano si inserisce all’interno di un più ampio accordo tra i principali partiti politici danesi, e prevede una serie di misure innovative per incoraggiare la produzione e il consumo di alimenti vegetali.

Secondo questo piano, il governo danese ha messo in campo diverse iniziative, tra cui l’investimento in start-up che sviluppano alimenti a base vegetale, la promozione di cibi vegetali nelle mense scolastiche e aziendali, e la creazione di reti di ricerca e innovazione per sostenere il settore.

Una delle principali caratteristiche del piano è l’introduzione di linee guida alimentari che incoraggiano i cittadini a ridurre il consumo di carne e a incrementare quello di legumi, cereali integrali e verdure.

Il governo ha destinato fondi significativi per la ricerca e lo sviluppo di tecnologie agricole in grado di supportare la produzione alimentare vegetale su larga scala.

La Danimarca vuole diventare un leader globale nel settore degli alimenti a base vegetale, con l’obiettivo di raddoppiare la produzione agricola sostenibile entro il 2030. Si stima che le misure contenute nel piano potrebbero ridurre le emissioni di CO2 del paese fino al 45%.

Aftale om Grøn Omstilling – Accordo sulla transizione verde

L’agricoltura danese ha tradizionalmente prodotto grandi quantità di carne suina e bovina, esportate in tutto il mondo. Tuttavia, la crescente consapevolezza degli effetti nocivi della produzione e del consumo di carne sull’ambiente ha spinto la Danimarca a ripensare i suoi modelli produttivi.

Nel 2021, il governo danese ha avviato un percorso di riforma radicale, inserendo il settore agroalimentare all’interno del suo piano per la transizione verde. L’Aftale om Grøn Omstilling, ovvero l’accordo sulla trasformazione verde, stabilisce obiettivi specifici per ridurre il consumo di carne nel paese e promuovere alternative vegetali.

Obiettivi a lungo termine – 27.000 nuovi posti di lavoro

Gli obiettivi principali del piano danese sono ridurre la produzione e il consumo di carne del 50% entro il 2030, promuovendo al contempo alternative alimentari più sostenibili e nutrienti.

Il piano include anche misure per incentivare la transizione degli agricoltori dalla produzione di carne a quella di colture vegetali, creando così una catena del valore che favorisca l’innovazione e la sostenibilità.

Il lungo periodo prevede anche una revisione delle politiche agricole per garantire che la transizione verde coinvolga tutti i settori della società, compresi i piccoli produttori e le industrie locali.

Si è stimato che questo piano possa generare fino a 27.000 nuovi posti di lavoro nel settore agricolo e alimentare. Inoltre, la Danimarca sta lavorando per esportare questo modello all’estero, promuovendo i suoi alimenti a base vegetale in mercati emergenti come quello asiatico.

L’Italia ha le potenzialità per fare meglio

Ma cosa accadrebbe se l’Italia adottasse un piano simile a quello danese? Il nostro paese, pur essendo noto per la sua cucina ricca e variegata, sta affrontando una crisi ambientale e sanitaria sempre più preoccupante.

L’incredibile varietà della produzione vegetale del nostro Paese, ci regala un vantaggio competitivo significativo. Eppure il consumo di carne pro-capite in Italia è di circa 78 kg, con un impatto significativo sulle emissioni di gas serra, sulla salute pubblica e sulla sostenibilità dei sistemi agricoli.

Verso un piano “made in Italy” di riduzione della carne

Un piano di riduzione della carne per l’Italia non solo sarebbe possibile, ma auspicabile. Ecco cosa potrebbe contenere:

a) IVA ridotta sui prodotti vegetali: invertire l’attuale paradosso fiscale, applicando un’IVA più bassa sui prodotti di origine vegetale rispetto a quelli di origine animale. Questa misura incentiverebbe il consumo di alternative vegetali, rendendole economicamente più accessibili e favorendo una transizione verso un sistema alimentare più sostenibile.

b) Incentivi alla produzione vegetale: proprio come la Danimarca, anche l’Italia potrebbe implementare incentivi fiscali e finanziamenti per sostenere la transizione degli agricoltori dalla produzione di carne a quella di colture vegetali.

Le Regioni italiane potrebbero essere coinvolte nella creazione di distretti agricoli dedicati alla coltivazione di legumi, cereali integrali, frutta e verdura biologica. Questo creerebbe nuove opportunità di lavoro, specialmente nelle aree rurali.

c) Promozione di un’alimentazione sana e sostenibile: un piano italiano dovrebbe includere campagne di sensibilizzazione a livello nazionale che promuovano i benefici di una dieta a base vegetale per la salute umana e il pianeta. Le linee guida alimentari ufficiali dovrebbero essere aggiornate per ridurre il consumo di carne e incentivare l’uso di legumi, verdure e cereali integrali. In questo modo, si migliorerebbe la salute pubblica e si ridurrebbe l’impatto ambientale del settore alimentare.

d) Innovazione nelle mense pubbliche: le mense scolastiche, universitarie, aziendali e ospedaliere dovrebbero essere il punto di partenza per introdurre pasti sostenibili. Un esempio da seguire è quello di New York, che ha implementato il “Meatless Monday” nelle mense scolastiche, offrendo ai ragazzi piatti a base vegetale un giorno alla settimana. Questa misura, inizialmente vista come sperimentale, ha riscosso grande successo e ha spianato la strada per l’introduzione di più pasti vegetariani durante la settimana.

e) Sviluppo di tecnologie agricole sostenibili: la ricerca e l’innovazione sono cruciali per sostenere questa transizione. Le università italiane e i centri di ricerca dovrebbero essere incentivati a sviluppare tecnologie agricole avanzate che riducano l’impatto ambientale della produzione alimentare. Ad esempio, investire nella coltivazione di legumi azotofissatori non solo migliorerebbe la qualità del suolo, ma ridurrebbe anche l’uso di fertilizzanti chimici.

Perché L’Italia ha bisogno di ridurre il consumo di carne

Il consumo di carne in Italia, pur essendo parte della tradizione culinaria nazionale, ha un impatto significativo sull’ambiente e sulla salute pubblica. Gli allevamenti intensivi contribuiscono per circa il 15% alle emissioni totali di gas serra globali, secondo i dati della FAO.

In alcune zone del Paese, la Pianura Padana per esempio,  vista l’alta concentrazione di allevamenti di suini, bovini e polli, questa percentuale sale di diversi punti.

Ridurre il consumo di carne avrebbe un impatto significativo sulla riduzione delle emissioni e  dell’inquinamento sistemico, migliorando anche la qualità della dieta dei cittadini italiani.

Un piano italiano di riduzione della carne potrebbe includere politiche simili a quelle adottate in Danimarca: incentivi per la produzione agricola vegetale, campagne di sensibilizzazione pubblica sui benefici di una dieta vegetale e il rafforzamento delle politiche a favore di un’alimentazione più sana e sostenibile.

Inoltre, si potrebbe puntare sulla promozione della dieta mediterranea vegetale, già riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio immateriale dell’umanità, per ridurre il consumo di carne e incrementare il consumo di cereali, legumi e verdure .

I benefici di un Piano Italiano di riduzione della carne

I benefici di un piano di riduzione della carne in Italia sarebbero molteplici:

  • riduzione delle emissioni di gas serra: l’allevamento intensivo è una delle principali fonti di emissioni di metano, un gas serra che ha un impatto 28 volte maggiore della CO2. Ridurre la produzione di carne contribuirebbe significativamente a ridurre l’impatto climatico del Paese;
  • miglioramento della salute pubblica: una dieta ricca di vegetali e povera di carne rossa e lavorata riduce il rischio di malattie cardiovascolari, diabete e alcuni tipi di cancro, migliorando la qualità della vita dei cittadini;
  • conservazione delle risorse naturali: l’allevamento intensivo consuma enormi quantità di acqua e suolo. Spostare la produzione verso colture vegetali ridurrebbe lo stress sulle risorse idriche e migliorerebbe la qualità del suolo;
  • promozione della biodiversità: ridurre il numero di animali allevati per la produzione di carne permetterebbe di ripristinare ecosistemi degradati e favorire la biodiversità.

Torino come New York, può arrivare prima!

Torino, come molte altre città italiane, ha un ruolo cruciale nella promozione di stili di vita più sostenibili. Seguendo l’esempio di città come New York, che ha adottato un approccio “planet-based” nelle scuole e negli uffici pubblici, anche Torino potrebbe diventare un modello di innovazione alimentare.

Ecco come un piano di riduzione della carne potrebbe essere implementato a livello cittadino:

– Mense scolastiche e aziendali sostenibili: le mense scolastiche e aziendali potrebbero costruire nuovi percorsi educativi legati al cibo, inteso come identità, conoscenza e cultura. Si potrebbero introdurre corsi di cucina a base vegetale per il personale, con l’obiettivo di promuovere una cucina sana, gustosa e rispettosa dell’ambiente.

Ogni settimana, le scuole torinesi potrebbero adottare il “Meatless Monday“, riducendo così il consumo di carne e insegnando ai bambini l’importanza di una dieta equilibrata.

– Mercati e filiera corta: Torino ha una lunga tradizione di mercati locali, e questa può essere sfruttata per promuovere la vendita di alimenti a base vegetale prodotti localmente. La filiera corta non solo ridurrebbe le emissioni legate al trasporto degli alimenti, ma garantirebbe anche un maggiore supporto agli agricoltori locali, incentivandoli a investire in colture sostenibili.

– Formazione e sensibilizzazione: le politiche alimentari devono partire dall’educazione. Torino potrebbe lanciare campagne di sensibilizzazione sui benefici della riduzione del consumo di carne, coinvolgendo scuole, università e associazioni civiche.

La città potrebbe organizzare festival alimentari dedicati alla cucina a base vegetale, offrendo ai cittadini l’opportunità di esplorare nuovi gusti e tradizioni culinarie. Campagne pubblicitarie e eventi educativi sarebbero essenziali per diffondere la consapevolezza tra i cittadini.

– Sostegno agli agricoltori locali: Torino potrebbe creare un fondo per sostenere gli agricoltori locali che vogliono passare dalla produzione di carne a quella di alimenti vegetali. In questo modo, si sosterrebbe l’economia locale e si promuoverebbe una dieta più sostenibile.

– Agevolazioni e sgravi fiscali:  il piano potrebbe includere delle agevolazioni fiscali per ristoranti e supermercati che promuovono alternative vegetali e sgravi fiscali per aziende che investono in soluzioni sostenibili.

– Politiche lungimiranti: infine, è fondamentale che i politici torinesi adottino una visione a lungo termine, impegnandosi non solo nella riduzione del consumo di carne, ma anche nella promozione di politiche che incentivino la transizione verso un’alimentazione più sostenibile.

Una nuova Torino, una nuova Italia

Il futuro alimentare dell’Italia e di città come Torino dipende dalle scelte che facciamo oggi. Seguendo l’esempio della Danimarca, possiamo avviare una transizione verso un sistema alimentare più sostenibile, che riduca il consumo di carne e favorisca uno stile di vita più salutare.

Torino, con le sue radici culturali e la sua tradizione culinaria, ha il potenziale per guidare questo cambiamento, diventando un modello per altre città e regioni.

Adottare un piano di riduzione della carne non significa rinunciare alle nostre tradizioni, ma piuttosto evolvere verso un modello più rispettoso del pianeta e della salute umana.

Ridurre il consumo di carne è un passo fondamentale per affrontare le sfide del cambiamento climatico e garantire un futuro alle nuove generazioni!

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